Oggi ripropongo un racconto che ho già postato lo scorso 10 febbraio, secondo me ha avuto poche letture, ne merita di più. Ci riprovo!
Erano seduti uno di fronte all’altra,
la camera dell’ospedale era vuota. Solo loro due. Come avrebbe detto lui, in
quella stanza c’era quasi tutto il mondo. Anche l’ospedale era molto
silenzioso, nonostante fosse orario di visita.
Si parlavano pazientemente e
con calma, accarezzandosi a vicenda le mani. Erano dolci anche nell’essere
tristi. Capita solo a che si ama. Lei più riflessiva e sicura, tranquillizzava
lui sulla vita, “andrà tutto bene, la vita è meravigliosa”. Lui rideva e
dimenava la sua anima. Abituato alla bulimia di emozioni, all’esplosione delle
sue reazioni, stava imparando ad amare la vita. Iniziava a non avere più
nemici. Ormai nella sua vita c’erano solo persone importanti, tutti gli altri
non c’erano più.
Lei rideva sempre e trovava
forze inaspettate da tutto, sembrava nata per sconfiggere le difficoltà della
vita. Lui aveva la vita negli occhi. Rimasero insieme per un paio di ore. Non
lo dissero ma sarebbero rimasti lì, abbracciati, per tutta la vita.
Ogni tanto guardavano fuori,
stava scendendo la sera. Lui interruppe il silenzio. “Resteremo insieme per
tutta la vita, come i nostri sogni quando volano ad abbracciare il cielo”. Lei chinò la testa, i capelli le
coprirono la faccia e una lacrima le solcò la guancia e velocemente andò a
baciarle il sorriso. Una radiolina riempì il silenzio che assieme avevano
creato, Elvis cantava because i love you
too much baby. Tutto era rimasto fuori, tutti i problemi, le difficoltà.
Soprattutto il passato. La felicità è accettare la vita, ora lo sapeva anche
lui.
Stavano aspettando nella fila
delle conseguenze, pazientemente e come due anime che nel perdersi si erano
ritrovate. C’erano solo loro due. C’era il mondo.
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Quello che non ho è un orologio avanti per correre più in fretta e avervi più distanti.
Fabrizio De André
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