lunedì 29 maggio 2017

La generazione perduta

Buongiorno.
Prendendo spunto da un interessante articolo che completo trovate qui: libreriamo.it/lagenerazioneperduta, per parlare della famosa "generazione perduta", frase coniata dalla scrittrice Stein e che disse a Hemingway.
Lo stesso Hemingway mise in epigrafe nel suo primo romanzo, Fiesta del '26, proprio la frase della sua collega.
La famosa generazione perduta è composta da quel gruppo di scrittori americani che ha raggiunto la maggiore età durante la grande guerra e di questo gruppo hanno fatto parte, oltre a Hemingway, anche Scott Fitzgerald, John Steinbeck, T. S. Eliot, John Dos Passos, Waldo Peirce, Isadora Duncan, Abraham Walkowitz, Alan Seeger, Erich Maria Remarque, Henry Miller, Ezra Pound e Sherwood Anderson. 
Come si legge nell'articolo: Le storie prodotte da questi scrittori in questo periodo di grande fermento culturale sono diventate alcuni dei capolavori della letteratura del Novecento. Non a caso è proprio a Parigi che inizia la sua carriera letteraria Ernest Hemingway. Nella capitale francese venne infatti scritto Fiesta, in cui l’autore racconta dei suoi viaggi tra la Francia e la Spagna. Alla fine del 1921 Ernest aveva ventitré anni e venne mandato in Europa dal “Toronto Star” come corrispondente e inviato speciale... Decise poi di fermarsi a Parigi. Glielo aveva suggerito Sherwood Anderson, che fece in modo di metterlo in contatto con la scrittrice e critica statunitense espatriata Gertrude Stein, la quale gli avrebbe poi presentato James Joyce ed Ezra Pound.
...Gertrude Stein aveva un salotto nel sesto arrondissement frequentato oltre che da scrittori anche da promettenti artisti, quali Henri Matisse e Pablo Picasso. Un punto di ritrovo divenne la libreria Shakespeare and Company di Sylvia Beach, di cui lo stesso Hemingway, la Stein, Joyce e Pound furono assidui frequentatori. Sylvia Beach, la titolare della Shakespeare and Co., fu la prima ad avere il coraggio di pubblicare in volume l'Ulisse di Joyce, mentre in Irlanda e negli Stati Uniti la censura ne bloccava l’uscita.

sabato 27 maggio 2017

Auguri, in ritardo, al MAESTRO Carver

Lo scorso 25 maggio era l'anniversario della nascita di Raymond Carver - Clatskanie, 25 maggio '38 - uno dei miei scrittori preferiti. Spero d'avere l'1% del suo talento, e di riuscire, anche solo minimamente, a scrivere in maniera asciutta ma completa e allo stesso tempo piena di emozioni senza mai essere patetico.

Vi consiglio di leggere tutta l'opera di Carver ma se proprio vi devo consigliare un libro, vi dico Principianti.  Il libro, una raccolta di racconti, è la versione restaurata di un'altra raccolta "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore"; un libro riuscitissimo e completo. Livello di ricchezza emotiva, 100%. Il mio racconto preferito? Con tanta di quell'acqua a due passi da casa.


giovedì 25 maggio 2017

Auguri, blog!

Oggi il mio blog compie 6 anni, non male direi. Anche se inizia un po' a pesarmi. Spero di continuare a fare qualcosa di buono con questo blog e di smuovere un po' le coscienze. In caso contrario, non esitate a dirmelo. E' inutile scrivere parole che non colpiscono il lettore.
Questo è quello che ho scritto nel primo post che feci.


La letteratura è una cosa seria, come bere, dormire o andare al bagno. Cose semplici e naturali ma anche fondamentali per un uomo. Chi scrive, non si chiede il perché di questa sua attività. Chi scrive, lo fa e basta! E' il più grande mezzo di evoluzione dell'essere umano che, però, molto spesso non sa trarne i benefici.
La letteratura è il mio ossigeno, questo blog farà lo stesso rumore di una foglia che muore. Nulla cambierà, ma nulla sarà più come prima.


martedì 23 maggio 2017

Il 31 maggio a Cento con L'UOMO CHE PIANGEVA IN SILENZIO

Avrei un po' di post americani da postare, su Elvis, Carver e Bukowski, ma è periodo di live con L'uomo che piangeva in silenzio e quindi mi dedico ai miei libri.
Il prossimo evento è previsto per mercoledì prossimo a Cento. Sarò ospite di un posto fighissimo con delle birre fantastiche - Il Cucco-dolcevita - accompagnato dal carissimo amico e fine cantautore, Massimo Danieli.
L'evento ufficiale lo trovate qui: facebook/evento/cento. Vi aspettiamo, di posto ce n'è!!!

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venerdì 19 maggio 2017

Cash e Hurt

Qualche giorno fa, su www.rockol.it, ho letto un interessante articolo di Paolo Panzeri. Lo riporto quasi interamente, per leggerlo tutto clicca → rockol/storiahurt. Ovviamente, alla fine dell'articolo potrete gustarvi il capolavoro di Cash. Non conoscevo la storia della canzone, contento d'averla conosciuta.

Nel 2001 Trent Reznor non sta vivendo il miglior periodo della sua vita. Nel 1999, a cinque anni di distanza dal capolavoro “The downward spiral”, uno degli album fondamentali degli anni novanta, che l’aveva portato - negli Stati Uniti - ad essere inserito tra le cento persone più influenti di quel periodo, era uscito il doppio album dei suoi Nine Inch Nails... La sua etichetta, Interscope Records, visti i numeri non del tutto soddisfacenti registrati dall’uscita discografica lasciò che il tour a sostegno dell’album gravasse in buona parte sulle finanze di Reznor. A questo quadro professionale non idilliaco si devono aggiungere inoltre problemi non di poco conto legati all’uso e all’abuso di cocaina e alcool... Nel medesimo periodo Johnny Cash e il produttore Rick Rubin erano alle prese con la scelta delle canzoni che avrebbero dovuto far parte del quarto capitolo della serie American Recordings che vide la luce l’anno seguente con il titolo “American IV: the man comes around”. Tra i titoli che Rubin propone al ‘man in black’ vi sono canzoni di Depeche Mode e Beatles, ma anche una contenuta nel già citato capolavoro dei Nine Inch Nails “The downward spiral”, quella canzone si intitola “Hurt”. Il produttore newyorchese è convintissimo che il testo di quel brano sia perfetto per Cash e, inoltre, crede possa essere una mossa strategicamente vincente far incontrare due mondi (e due pubblici) apparentemente distanti come Trent Reznor e Johnny Cash. Dirà Cash: “Quando ho sentito quella canzone, ho pensato, ‘suona come qualcosa che avrei potuto scrivere negli anni sessanta’. Ci sono più cuore, anima e dolore in quella canzone che in tante venute dopo”.
Una volta avuto il parere positivo di Cash sul brano, per poter inserire la canzone nell’album Rubin deve parlare con Reznor per avere il via libera al suo utilizzo... “Quando mi ha chiamato chiedendomi se mi sarebbe piaciuto che Johnny Cash coverizzasse “Hurt”, ho detto subito di sì per la fiducia che ho in Rick e la molta ammirazione verso Johnny. Johnny Cash era sempre stato una figura misteriosa per me. Mio nonno lo ascoltava, ma io non gli avevo mai prestato molta attenzione. Ma lui era uno dei pochi grandi rimasti, un personaggio, un uomo vero e proprio ed ho pensato che fosse incredibile che volesse rifare “Hurt”, perché le mie canzoni sono sempre state la mia terapia, un veicolo personale per restare sano di mente. Non ho mai pensato di scrivere canzoni per altri. E quella in particolare veniva da un posto privato, molto personale.”
Johnny Cash nel 2002 è malato e, come si dice in questi casi, non gli manca molto da vivere. “American IV: the man comes around” uscirà nel novembre di quell’anno e sarà il suo ultimo album pubblicato in vita. Nel settembre 2003 infatti Cash morirà all’età di 71 anni a causa di alcune complicazioni causate dal diabete. La sua interpretazione di “Hurt” lascia Rick Rubin letteralmente a bocca aperta. Rubin la fa ascoltare a Reznor che ricorda: “Poche settimane dopo il nostro incontro, Rick si presenta con un CD, ma io sono un po’ incasinato. Lo metto su e gli do un ascolto superficiale. Mi sembrava strano. Quella canzone proveniva direttamente dalla mia anima, era molto personale e mi faceva un effetto particolare sentire la voce massiccia di Cash che la cantava. L’ho ascoltata nuovamente e mi sembrava incredibilmente sbagliato sentire quella voce sulla mia canzone. Ho pensato: ‘ Ecco, questa cosa che ho scritto nella mia camera da letto in un momento di fragilità, adesso la sta cantando Johnny Cash. Mi ha fatto andare fuori di testa”.
Trent Reznor viene veramente molto colpito dall’ascolto della cover della sua canzone. E’ colpito in un modo che non poteva immaginarsi, dice: “Era indubbiamente una buona versione, ma mi sentivo come se stessi guardando la mia ragazza scopare con qualcun altro. Come se avessi costruito una casa, e qualcun altro ci si fosse trasferito dentro. Quando scrivo una canzone, sono solo io. E’ la mia voce. Così in un primo momento mi è sembrato molto strano”.
Il 5 novembre 2002 esce il disco di Cash ed è un disco magnifico. “Hurt” si rivela da subito uno dei brani più significativi dell’album. Si decide quindi di girare un video della canzone e di affidarne la regia a Mark Romanek. Per la clip vengono usate immagini della vita di Cash, pubblica e privata. Le parole di “Hurt” ne sono la perfetta colonna sonora. Cash, malato, è seduto al piano nella casa in cui visse a Nashville per oltre trent’anni. Dice Romanek: “Era rimasta chiusa per un po’ di tempo; quel posto era in un grande stato di degrado. E’ così che mi è venuta l’idea che forse potevamo essere estremamente onesti sullo stato di salute di Johnny, esattamente come lui stesso lo era sempre stato nelle sue canzoni”. Nel filmato compare anche la amatissima moglie June Carter. Era il febbraio del 2003 quando vennero girate quelle immagini. June morì a maggio, Johnny le sopravvisse fino a settembre. Il video avrà un clamoroso successo e viene ancora oggi considerata come una delle clip migliori e più intense di ogni tempo.
Così racconta Reznor quello che provò quando vide per la prima volta il video: “Un giorno mi arriva una videocassetta con il video di Mark Romanek. E’ mattina, sono in studio a New Orleans a lavorare sull’album di Zack De La Rocha. Ho guardato il video con lui e sono scoppiato in un pianto incontrollabile. Le lacrime, il silenzio, la pelle d’oca. Quel video mi aveva tolto il respiro. A quel punto, aveva davvero colto nel segno. E’ stato straziante e davvero entusiasmante”. E aggiunge: “Aveva appena perso la mia ragazza, perché quella canzone non era più mia. Poi tutto ha acquistato senso. E davvero mi ha fatto pensare a quanto sia potente la musica come mezzo e forma d’arte. Avevo scritto quelle parole e quella musica nella mia camera da letto come modo per rimanere sano di mente, in un luogo tetro e disperato in cui ero totalmente isolato e solo. Per chissà quale motivo, il brano viene interpretato da un mito della musica di un’epoca e un genere radicalmente diversi e conserva ancora la sincerità ed il senso di differenza, ma è altrettanto puro. Sapevo che non era più la mia canzone, e dico questo non con gelosia, ma perché è successo in un momento della mia vita in cui stavo riscoprendo il mio apprezzamento per il potere della musica.”
La versione di Cash è diventata nel tempo più nota e famosa dell'originale. Prima l’album, poi il video e infine la morte di Cash. La canzone ormai non è più una proprietà di Trent Reznor, ma, come accade con i figli, ha preso una sua via e una sua strada, a riconoscerlo è lo stesso Reznor: “Le cose sono diventate ancora più strane quando lui è morto, perché il significato della canzone si è spostato di nuovo. Da allora non ho più ascoltato la mia versione. Sono stato molto orgoglioso di quello che Rick e Johnny hanno fatto con il brano, e superato il mio shock iniziale, mi rendo conto che la musica è tutto...

...Stephen King: “”Hurt” dice tutto quello che dovete sapere su ciò che la vita può toglierti. Che cosa toglie sempre, alla fine. Una canzone come quella è un tesoro, perché dona voce a uno stato d’animo che in qualche misura coinvolge tutti, ma che non si può esprimere.”

mercoledì 17 maggio 2017

Dalla Turchia...

Invitandovi per l'ultimissima volta all'evento privato di questa sera - per prenotarsi cliccare ⇰ facebook/evento/L'uomo - vi propongo una mia vecchissima poesia che dedicai proprio all'amico che questa sera mi ospiterà. Quindi, se stasera volete passare qualche ora tra letteratura, cibo, buon vino e amicizia,  non esitate e prenotate il posto!



Seduto a poppa di una nave
osservo il mare,
piatto e tranquillo
come dio l'ha fatto,
e medito
sulla mia solitudine.

Il pensiero,
ineluttabile,
è di un destino
già segnato
per me e per l'essere umano.
Un continuo rincorrere
desideri
ed emozioni
che vanno
ad infrangersi
negli scogli della vita che
per alcuni è una merda.
Per altri,
un fantastico sogno
vissuto ad occhi aperti.

Ma, credimi amico mio,
che tu la pensi
in un modo o nell'altro
l'importante è arrivare
con le proprie gambe
al traguardo finale
e sapere d'averlo fatto.

to Bruno, Turkiye 2005.

Per organizzare una presentazione, contattami sui social,
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lunedì 15 maggio 2017

#nonmollomai

Oggi è una giornata da stare a letto, ma a letto non ci posso stare. Berrò seimila caffè per accettare questa giornata. Così, vi racconto che sabato a Loiano le cose sono andate benissimo. Al di là delle copie che ho venduto, le emozioni e il confronto che ho ricevuto sono sempre impagabili. E' proprio vero che noi scrittori viviamo di parole ed emozioni. 
Non ho voglia di postare nulla dei miei scritti, oggi sono la noia in persona. Ma vi voglio ricordare i prossimi appuntamenti e dire che nuove date sono in arrivo. Penso che fino a settembre mi potrete vedere in giro per l'Italia.

⏩ 31 MAGGIO a CENTO - PD - reading musicale con Massimo Danieli da Ilcuccodolcevita.
⏩9 GIUGNO a BOLOGNA - intervistato da Fabrizio Carollo da Blues cafe'

Per acquistare il mio libro, clicca ➽ edizionidelfaro/luomochepiangevainsilenzio, oppure vieni alle mie presentazioni o, in alternativa, vai in libreria!

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sabato 13 maggio 2017

Non so stare fermo

Buongiorno.
E' uscito da poco il mio romanzo, L'uomo che piangeva in silenzio, e già sto lavorando al prossimo libro. Vi do qualche anticipazione, sarà una raccolta di poesie, scritte negli ultimi quattro cinque anni. L'ultima proprio l'altro ieri. Ma oggi non mi va di condividerne alcuna, preferisco questa foto, mi dà il senso del viaggio. Che poi è la cosa che fa ogni scrittore quando si mette all'opera. E' bella l'ansia che si prova quando si va incontro ad un nuovo libro.

Ph. Daniela Martin - @laddani



giovedì 11 maggio 2017

Sono insolitamente sereno e sorridente

In questi giorni sono insolitamente sereno, sorridente e positivo. Chissà, magari ho la febbre...
E come Charlie il protagonista del mio ultimo romanzo, L'uomo che piangeva in silenzio, in realtà sono una persona che trova sempre i lato positivo delle cose, anche se magari non lo do a vedere. Proprio nel libro dico che:
Avrebbe continuato a vivere, nonostante tutto, perché Anita, che lo stava aspettando, così gli aveva insegnato. Il suicidio sarebbe stato messo da parte, almeno per ora. Le difficoltà e i cambiamenti non erano più tali, erano diventati opportunità di crescita, interiore ed esteriore. Voleva crescere, maturare e non smettere mai di progredire. Perché come diceva lui... il vero progresso è solo interiore, il vero progresso è la maturità dei propri pensieri. Tutto il resto è modernità...
L’amore lo aveva bruciato ma lui ora guardava un fiore crescere. Anche le sofferenze possono essere delle favole se c’è poesia nel cuore delle persone...

Detto questo, vi ricordo i prossimi appuntamenti con le presentazioni del mio romanzo, ma nelle stesse occasioni si potranno acquistare anche gli altri miei libri di racconti e poesie. Nei link qui sotto trovate sia le info degli eventi, sia l'articolo del mio editore.



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lunedì 8 maggio 2017

L'uomo on the road

Eccomi con altre novità librarie, intanto vi ripropongo l'intervista che mi ha fatto il caro amico Aldo Jani, per Canale 13 e Canale 86, che è andata in onda durante il week end all'interno della rubrica "Vetrinalibri".


Poi vi ricordo due impegni molto prossimi con la presentazione de L'uomo che piangeva in silenzio:
⏩13 MAGGIO a LOIANO - BO - facebook/evento/LOIANO - sarò intervistato da Karmen Ogulin, in biblioteca. 
⏩17 MAGGIO ad ARZERGRANDE - PD - facebook/evento/ARZERGRANDE - private show da Bruno Mantra, obbligatoria la prenotazione.

A fine mese sarò a Cento, in provincia di Ferrara. Durante l'estate a Bologna e poi sui colli bolognesi, e molte, ma molte date, in pianura padana... 

sabato 6 maggio 2017

Perché si pubblica

Ripropongo in parte un bellissimo - molto completo e competente - articolo che ho sul Post, completo lo trovate qui: ilpost.it/initaliapubblicanotantilibri, che tratta del perché in Italia si pubblicano tanti, troppi, libri. 
L'articolo è molto lungo ma non vale come lettura di un libro! 😉
...In Italia il numero di titoli pubblicati continua a crescere anno dopo anno, anche se i lettori diminuiscono. L’offerta funziona indipendentemente dalla domanda. Escludendo – almeno in parte – che sia un mondo di pazzi votati a lavorare in perdita, bisogna capire quali meccanismi di mercato spingano gli editori a continuare ad aumentare la quantità di libri e sapendo che più della metà ritorneranno indietro perché non saranno comprati (e che non potranno essere usati per farne scalini).
...Basta guardare le serie storiche: nel 1919 furono pubblicate 5.390 novità; nel 1956 erano più o meno le stesse: 5.653; nel 1970 salirono a 15.414; nel 1984 arrivarono a 21.063... Nel 1998 furono 56 mila... Oggi – il dato è del 2015 – i nuovi titoli pubblicati sono schizzati a 65 mila di carta, il 6,5 per cento in più rispetto all’anno precedente, a cui si aggiungono 63 mila ebook. Significa che ogni giorno escono in media 178 nuovi libri di carta, e 350 nuovi titoli in totale. Nel 2015 il catalogo “vivo” – cioè i libri in commercio di cui effettivamente si vende qualche copia – era di 906.481 titoli (+5,2% sul 2014). Sempre nel 2015 gli editori italiani che hanno pubblicato tra i 10 e i 60 titoli all’anno erano 1.005, un po’ più dell’anno prima.
In compenso i lettori calano: nel 2015 in Italia  33 milioni di persone non hanno letto neanche un libro, 4 milioni e 300 mila in più rispetto al 2010. Per vendere almeno una copia di ogni libro in commercio – quantità che sarebbe comunque fallimentare – tutti i lettori dovrebbero comprare 23 libri all’anno ciascuno, praticamente due al mese. Invece si sa che dei 23 milioni di lettori italiani (di cui la metà abita in comuni dove non c’è una libreria), 10 milioni hanno letto al massimo 3 libri all’anno, 9 milioni tra i 4 e gli 11 libri e soltanto 3 milioni un libro al mese (i dati vengono dal rapporto Chi è il lettore di libri in Italia?, presentato il 20 aprile dall’Associazione italiana editori a Tempo di libri, la fiera di Milano, e non considerano i bambini sotto i 6 anni, che pure contribuiscono in modo significativo al mercato).
...I libri aumentano nonostante la diminuzione dei lettori per molte e complesse ragioni, che hanno a che fare con:
1. le caratteristiche merceologiche del libro;
2. il permanente valore socio-culturale del libro;
3. il progressivo miglioramento delle tecnologie di produzione che hanno ulteriormente abbassato i costi d’accesso all’editoria, permettendo a chiunque di auto-pubblicarsi;
4. le modalità di vendita del libro.
I libri sono prodotti industriali, ma non possono essere prodotti in serie come, per dire, le scatolette di tonno. Ogni libro è diverso e ogni volta si ricomincia da capo. Non è possibile fare troppe previsioni. Per quanto i modi di produzione siano industriali e standardizzati, l’editoria rimane legata all’artigianato e ha qualche somiglianza con il gioco d’azzardo. Questo spinge gli editori ad aumentare il numero di titoli nella speranza di imbroccare il bestseller che metterà a posto i conti (o a puntare sulle serie, specialmente su poliziotti e investigatori privati che permettono di cercare di fidelizzare i lettori e farli crescere uscita dopo uscita).
Il valore di un libro non si misura soltanto in termini economici. Un libro conserva un valore sociale e culturale che va al di là dei soldi che fa guadagnare. I libri sono usati anche come biglietti da visita che danno all’editore e all’autore non solo prestigio, ma anche una sorta di indotto fatto di presentazioni, collaborazioni, eventuali finanziamenti istituzionali. È il prestigio sociale e il guadagno indiretto la vera ragione di esistenza di centinaia di editori che lavorano in perdita e di migliaia di autori che, di fatto, lavorano gratis. È impossibile quantificarle, ma certamente molte case editrici sopravvivono perché garantiscono a persone con qualche soldo di svolgere un’attività che gode di buona reputazione e di ripianare le perdite quando è il caso (non è una critica, fare l’editore non è il modo peggiore per spendere i propri soldi).
Aprire una casa editrice non richiede grandi investimenti iniziali. La soglia di accesso è sempre stata relativamente bassa. Negli ultimi decenni il miglioramento delle tecnologie di stampa e l’avvento della stampa digitale hanno ulteriormente abbassato i costi e di conseguenza il numero minimo di copie da stampare per accedere sul mercato. Per questo, anche in Italia, all’editoria tradizionale si stanno affiancando, con un peso sempre maggiore, i libri auto-pubblicati. Per Paola Dubini, che si occupa di editoria e insegna all’Università Bocconi di Milano, il digitale è la ragione principale della proliferazione di titoli degli ultimi anni: «La prima accelerazione degli anni Sessanta e Settanta fu determinata dal boom economico e dall’alfabetizzazione. Credo che quella degli ultimi vent’anni sia dovuta all’abbassamento dei costi di stampa e all’aumento dei libri autopubblicati», dice al Post.
A queste ragioni se ne aggiunge una quarta: la vendita di libri funziona in modo da rendere più conveniente per l’editore, almeno sul breve periodo, aumentare il numero di titoli.
...L’editore incassa sul distribuito, ma guadagna sul venduto. È un meccanismo finanziario che favorisce l’incremento di produzione anche in assenza di vendite. Se un editore riesce a distribuire 5mila copie di un libro da 10 euro, riceve un assegno pari al 40 per cento della merce che ha immesso sul mercato (il 60 per cento va al distributore che rivende i libri al libraio con uno sconto del 35-38 per cento sul prezzo di copertina). Con questi 20 mila euro l’editore paga il tipografo, la carta, il grafico e la redazione. Ma siccome il pagamento avviene dopo almeno tre mesi, i soldi deve anticiparli di tasca propria o fare una fideiussione con una banca, dando in garanzia l’assegno.
In editoria, al contrario che in ogni altro mercato, esiste il diritto di resa: cioè il libraio rende i libri che non ha venduto e si fa ridere i soldi dall’editore sotto forma di sconti sugli acquisti successivi. In Italia le rese sono mediamente del 60 per cento: significa che dopo tre mesi, ai 20 mila euro iniziali bisognerà sottrarre 12 mila euro, e in più pagare il distributore per riportare indietro i libri invenduti. La strada più semplice per uscirne è stampare un altro libro, in modo da avere un altro assegno, e così via nella speranza di imbroccare il titolo che metta a posto i conti. Aumentare la produzione è la tentazione di ogni editore per mantenere il fatturato inalterato anche quando le vendite calano. Anche perché le rese vengono messe a bilancio come attivo, sebbene in realtà costituiscano un passivo: è merce invenduta che difficilmente si riuscirà a vendere in futuro, che occupa spazio e che costerà altri soldi quando verrà mandata al macero.
Naturalmente non va sempre così. Può succedere che un libro o più di uno vendano tutte le copie della prima tiratura e siano ristampati. In questo caso l’editore guadagna e può ripianare le perdite. Inoltre gli editori sanno che aumentare i titoli porterà al fallimento nel medio-lungo periodo. Quelli che resistono stanno attenti a non farlo. Secondo Sellerio – l’editore che forse ha guadagnato di più in Italia negli ultimi anni – una delle defficoltà più grandi è resistere alla tentazione di aumentare la produzione e rinunciare a libri che si pubblicherebbero volentieri. Ma se le cose vanno male – e vanno male spesso – pubblicare di più nella speranza di trovare un bestseller può apparire l’unica strada possibile.
Per spezzare questo meccanismo, qualche anno fa Riccardo Cavallero e Valerio Giuntini, all’epoca direttore generale e direttore commerciale di Mondadori,  ora a SEM, cercarono di convincere i librai ad adottare un sistema diverso, cioè a condividere i rischi con l’editore: il diritto di resa sarebbe rimasto solo sulle novità, ma in cambio gli editori avrebbero stabilito quante copie fornire; mentre i libri di catalogo sarebbero stati acquistati dal libraio nella quantità desiderata, ma senza diritto di resa. Un’altra proposta, diretta ai piccoli editori, prevedeva di vendere in conto deposito, cioè che i librai pagassero alla fine solo i libri che avevano effettivamente venduto. Naturalmente i librai si rifiutarono, perché il diritto di resa e il potere di ordinare ogni titolo nella quantità desiderata sono strumenti grazie a cui riescono faticosamente a sopravvivere. L’idea non era troppo condivisa neppure dagli altri editori, a cominciare da molti azionisti e manager della stessa Mondadori, perché avrebbe determinato un calo di fatturato sugli anni successivi e impedito le campagne promozionali, cioè gli sconti, un altro trucco grazie a cui gli editori riescono a liberarsi in parte del magazzino.
...Gli editori guadagnano se riescono a vendere un titolo, e quando succede – avendo ripagato le spese industriali – guadagnano tanto. I librai guadagnano se tengono basse le spese, ma riescono ad avere una buona rotazione e un buon flusso di cassa. I distributori, invece, guadagnano sempre, sia sui libri venduti che su quelli che non compra nessuno. Il distributore, cioè, è il perno su cui il sistema si regge, e non ha alcun interesse a cambiarlo. 
...Nonostante l’automatizzazione non risulta che l’incidenza dei costi di distribuzione sia calata. L’altro attore editoriale che guadagna, infatti, è Amazon: la cui forza si basa proprio sull’automatizzazione della distribuzione. Perché un libro venda bisogna che sia visibile e perché sia visibile occorre distribuirlo nel maggior numero di librerie possibili in una quantità sufficiente. Raggiungerle costa e costringe l’editore ad aumentare le copie e, quindi, le rese. Questo è vero anche nel caso delle grandi catene, dove gli acquisti sono centralizzati. Perché un titolo sia visibile per esempio nelle librerie Feltrinelli, occorre mandare un certo numero di copie in ogni libreria della catena, anche in quelle dove non se ne venderà nemmeno una. Amazon salta un passaggio. E non sposta copie inutilmente. Il libro raggiunge il lettore partendo da un posto solo (il deposito principale è a Castel San Giovanni, Piacenza, ha 900 dipendenti ed è grande 100 mila metri quadrati, come 14 campi da calcio; ne sta aprendo un altro di 60 mila metri quadri a Passo Corese, in provincia di Rieti; e ne è attivo un altro più piccolo ad Affori, Milano, per i clienti Prime).
Questo permette ad Amazon di avere un catalogo virtualmente infinito – i titoli in lingua italiana attualmente acquistabili sono 15.190.256, contro il milione scarso di quelli presenti in tutte le librerie italiane – e di guadagnare sulla cosiddetta “coda lunga“, il fenomeno economico teorizzato da Chris Anderson per spiegare l’economia della rete: vendere anche poche copie lentamente fino a quando le scorte non saranno esaurite. In questo modo la rotazione si azzera e le rese crollano, permettendo ai libri di sopravvivere molto più a lungo. Le librerie fisiche non possono farlo per mancanza di spazio, ulteriormente ridotta dalla pressione crescente delle novità in arrivo. Il problema di Amazon è che i libri si comprano anche per caso, quando vengono visti su uno scaffale, e che chi acquista online generalmente sa già cosa comprare (sempre più spesso c’è chi va su Amazon – o su Ibs, che fa capo a Messaggerie – dopo avere avvistato il libro in una libreria tradizionale). Senza finestre reali sul mondo difficilmente riuscirà a intercettare l’interesse distratto, e a suscitare il passaparola, che è poi il vero meccanismo che crea un bestseller. Amazon tenta di rimediare online puntando sui consigli («Chi ha acquistato questo articolo ha acquistato anche…», «Spesso comprato insieme a…») e sugli estratti dei libri. Nel mondo reale, invece, punta sulle librerie fisiche che sta aprendo negli Stati Uniti e, anche in Italia, sull’editoria.

mercoledì 3 maggio 2017

Ricordando Pete

Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Pete Seeger, New York 3 maggio 1919, è stato un folk singer ed è, tutt'ora, uno dei punti di riferimento di American Ciacoe.
Attivista politico della sinistra americana e uno dei massimi autori della canzone di protesta, nonché ecologista e combattente per la tutela dell'ambiente. 
Per tutti quelli che vogliono conoscere meglio le lotte di classe del secolo scorso in America, Seeger è uno degli autori fondamentali. Uno di quei comunisti che non puoi non ammirare! Lui stava da questa parte...




lunedì 1 maggio 2017

Increspature

E' da un po' che non posto una poesia, questa sarà presente nella mia prossima raccolta. In uscita nei prossimi mesi. Eccola!

Increspature

Dove sono finiti quei due?
Non ci sono mai stati.
E allora
non sono finiti da nessuna parte.

E la filologia
come si può definire?
Di fatto, non è facile dare una definizione univoca
perché è una disciplina dai molteplici aspetti.
La filologia è stata, e può essere, definita
in maniere diverse.

E grazie al cazzo!
A tutti questi pensieri
inutili.
Quei due lì
non sono mai esistiti,
quindi
non preoccuparti.
Stai sereno.
La filologia è più difficilmente
definibile di una religione,
quindi preoccupati ancora meno
e aumenta la tua serenità.

Per quanto interessanti siano le persone
e per quanto bene possano dispensare
ricordati
che quei due lì
insieme
valgono
meno di te
e che la complessità
della tua mente
vale più di un filologo.