venerdì 29 marzo 2019

Poesia "Postuma"

Poesia non ancora inserita in nessuna raccolta, forse l'ho già postata a fine anno. Non ricordo.
In ogni caso, oggi parlando con una amica mi è tornata in mente. Eccola...



Postuma


Non c’era più con la testa
lo chiamavano ironicamente,
molto raramente con rispetto,
il poeta.

La sua malattia
era considerata
al pari di un capriccio borghese,
adatta a chi ha tempo
da perdere.
Gli dicevano che bastava
sorridere un po’ di più
e non pensare ai problemi.

Un anarchico,
per rassegnazione e disgusto
non votava più,
non era al servizio di nessun politico,
ma solo della letteratura,
il suo dovere da cittadino
lo faceva scrivendo.

Ora che il tempo
lo ha cancellato
e così la sua memoria,
chissà se vi guarderebbe sull’acqua
dove ci state
a galla
senza dover muovere le braccia.
Lui era solo un piccolo uomo,
fragile.
I poeti nelle storie d’amore
muoiono tristi, così
come nella realtà.

martedì 26 marzo 2019

Siamo i libri che abbiamo

Oggi prendo spunto da questo articolo: internazionale.it/siamolanostralibreria, dove si legge ...Quante volte non ti è accaduto di sentire che se non hai quel libro ti manca un elemento capitale della tua cultura, di resistere a lungo alla tentazione di acquistarlo, ma invano, ché più resistevi più quel libro ti appariva indispensabile e vergognoso l’esserne privo; e, quando finalmente hai ceduto e lo hai acquistato, dopo un’occhiata all’indice e ad alcune pagine, vederti improvvisamente venir meno il bisogno di esso, cosicché non lo hai letto più per gran tempo seppure lo hai letto mai!
Sono convinto che ognuno di noi sia i libri che possiede e che legge, ovviamente. Quindi chi ha pochi libri è ben poca cosa, ne sono convinto!
Spesso mi capita di parlare con delle persone e chiedere loro che libro stiano leggendo o che libri abbiano a casa. Quindi, la mia domanda non è per sapere se hai i miei libri ma per sapere chi sei veramente... 

Lo so, è una spudorata pubblicità!

giovedì 21 marzo 2019

I veri poeti

21 marzo 1938, nasceva questo signore qui. Quando parlate di Sanremo, del festival intendo, e di poesia, non dimenticate mai questo nome. Troppo spesso viene accostato alla poesia chi poeta non è. E' per questo, ma non solo, che o poeti soffrono. 😉

mercoledì 20 marzo 2019

Non ho fretta

Periodo un po' così, ma per me i periodi sono tutti un po' così, quindi non mi lamento. Non sto scrivendo molto in questo marzo 2019. Qualche poesia e un paio di racconti ai quali sto lavorando da un po'. Con il romanzo sono fermo. Non ho fretta, riprenderò a scrivere nelle prossime settimane o quando sarà. Non ho fretta. 
L'essere scrittore prevede anche lunghi e interminabili periodi di silenzio.


lunedì 18 marzo 2019

Chi legge (pochi), e chi no (molti), #8

Buongiorno, tra quelli che leggono le preferenze sono queste... (articolo completo qui: repubblica.it/preferenzeletterarie)

Su 1160 partecipanti il 50% sceglie la narrativa, un risultato che conferma il desiderio di entrare e vivere storie alternative alla propria. I classici attraggono il 22% dei lettori e ci si chiede il perché del divario tra presente e passato. 
Il 15% cerca nella poesia le risposte al senso dell'esistenza, un dato incoraggiante per gli editori che nei loro Cataloghi danno spazio ai versi. Piace il noir al 13% dei lettori, mentre circa l'1% dei votanti avrebbe scelto la saggistica se l'avessi inserita nel quesito. 

E' anche vero, devo dire, che generi come la poesia vengono spesso confinati negli angoli delle librerie e che spesso noir, giallo e thriller vengono confusi. Detto questo, spunti interessanti per chi vuole prendere qualche soldo dai libri che scrive: snobbate la poesia. 😂

Fonte: web

mercoledì 13 marzo 2019

Chi legge (pochi), e chi no (molti), #7

Buongiorno.
Curiosamente il mercato digitale va bene perché qualcuno ci ha investito... strano!
L'articolo completo lo trovate qui: ilfoglio.it/editoriadigitale.
P.S. Sono anche questi libri, che vi vada bene o no. Lasciate che ognuno legga come gli pare, già siamo in pochi a leggere, se poi vi mettete a fare la morale sui libri...


Non solo banca, non solo finanza, non solo immobiliare. Insospettabili attori di mercato si muovono a Milano sul filo di lana dell’innovazione e surfano le macrotendenze del panorama internazionale collezionando primati italiani, sì, ma anche europei e un giorno, chissà, come fossimo a Shanghai. Parliamo nientepopodimeno che di editori. Gregari di una classe economica in naftalina, condivisori di grame prospettive a brevissimo periodo, ma soprattutto, portatori sani, da almeno un paio di secoli, di paralisi della visione nel top management: analisi così consolidate da essere diventate uno stereotipo inconfutabile? Solo all’apparenza: la milanesità agganciata all’alta velocità global non ama lamentarsi e che l’editoria non faccia mai niente di nuovo diventa niente di più falso.
Almeno per l’editore leader: Mondadori... secondo la presentazione di dati e strategie fatta dal gruppo di Segrate alla stampa, con focus sul mercato digitale: leadership di audience virtuale (dati Audiweb) con 26,5 milioni di utenti agganciati online ogni mese (l’80 per cento da mobile). Leadership nel mondo reale con il cartaceo, con 18 milioni di lettori (Audipress) dei magazine Mondadori (70 per cento donne e 8 milioni in più rispetto al secondo player). Leadership di mercato pubblicitario con la concessionaria Mediamond. Leadership di notorietà: cinque su sei tra i brand di testata che albergano nella mente degli italiani si rivelano, in risposta spontanea, Mondadori... Sicché basta editore, che è parola analogica: “Chiamateci “mass media digitale verticale””, ha invocato Andrea Santagata, head of digital magazine del gruppo.
Ora però la domanda sorge spontanea, specie nel milanese pragmatico e nel londinese confuso: come hanno fatto? I manager del settore periodici Italia, guidati dal 2012 da Carlo Mandelli, sono i primi ad ammettere che il nuovo stile della casa è partito sganciando, due anni fa, una bella cifra per mettersi in salotto qualcuno che certe cose le sapeva già fare benissimo, come Banzai Media Holding, la divisione vertical content del Gruppo Banzai, “l’Amazon italiana” oggi ePrice: 45 milioni di euro ben spesi. Almeno a sentire i risultati conseguenti: al momento 300 utenti al secondo entrano in un sito web Mondadori e 14 di loro ingaggiano sui social dei periodici del gruppo una conversazione, chiedono un’informazione o si crogiolano nel “caring”, l’assistenza online elargita ad utenti con dubbi e domande sui contenuti e servizi digital che stanno usando. Insomma, le uniche che per numeri superano Mondadori Periodici online al momento sono le property internazionali: Google, Amazon e company.
Tutto questo è possibile grazie ad una visione autarchica che è unica in Italia e tra le poche in Europa, tanto da risultare un asset distintivo: a Segrate sono in 180 a curare la produzione dei contenuti digitali, tutta interna, compreso lo sviluppo. In un settore dove l’outsourcing è la regola, una controtendenza importante, roba da New York Times, a dimostrare che “content is king”: 60mila articoli, 170mila foto, 10mila video l’anno, di cui quelli comprati sono meno del 40 per cento. Naturalmente tutto questo ha anche un costo quotidiano: realizzare una ricetta finita per Giallo Zafferano (che ad aprile diventa il primo sito parlante in Europa), ad esempio, costa tra i mille e i 1500 euro e ogni anno Mondadori fa 60 mila euro di spesa alimentare (ma non si butta via niente: in redazione si mangia a tutte le ore, tra dipendenti e ospiti). Infatti di ricette se ne genera una al giorno e si cerca di venderla in ogni modo e su ogni mezzo...
Fin qui tutto bene. Ma le strategie per il futuro? Altre factory, ancora più video, ancora più influencer, più instagrammer, content to commerce, proximity marketing (quello che se ti geolocalizzo dentro una libreria ti notifico sull’app in tempo reale che Einaudi fa il 25 per cento di sconto), progetti speciali (cioè eventi) per i clienti pubblicitari, innovazione costante delle testate... Ma soprattutto incarnare in Italia e in Europa il modello dell’editore del futuro, che crea e distribuisce contenuti con una logica omnichannel: i brand al centro e intorno tutti i possibili touch point da integrare a 360 gradi, magazine, sito web, canale tv, licensing e una cosa che si chiama focus dive, cioè un mega evento tipo quello di Focus lo scorso anno, che ha visto 15mila persone pagare per godersi contenuti scientifici garantiti Focus nel mondo reale. Lo fanno, assicurano, perché ormai è il digitale quello che permette di cambiare il segno meno in segno più nel fatturato: sui quasi 300 milioni di euro di giro d’affari dei Periodici Italia tra circulation e pubblicità, la raccolta advertising del digitale, che pesa per circa un terzo, è aumentata dal 2017 al 2018 dal 27 per cento al 32 per cento. Per questo tra poco non potremo più nemmeno chiamarli periodici, né giornali, né prodotti, ma “vertical brand”. 
Fonte: web

martedì 12 marzo 2019

Auguri, Jack. Ma Henry ha qualcosa da insegnarci

Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Jack Kerouac, e proprio in questo giorno, vi consiglio di leggere un altro grande delle letteratura americana: Henry Miller, per molti versi il papà della Beat Generation. Da lui è partita l'idea del romanzo autobiografico, con espliciti eccessi sessuali e di stile di vita, mixato con passi di saggio. Sì, lo so. Il consiglio è un po' strampalato, però lo sono anche io. 

Un'ultima cosa, non sempre riesco a vedere la vita nella maniera giusta, anzi. Spesso la vedo proprio nella maniera sbagliata. E per quanto sia difficile a volte, cercare gli aspetti positivi sarebbe l’unica cosa da fare. Ci provo, da tempo, ma spesso non ce la faccio. Proprio come direbbe il vecchio Henry "In un giorno come oggi capisco quel che vi ho già ripetuto cento volte: che non c’è niente di sbagliato al mondo. Quel che è sbagliato è il nostro modo di guardarlo."
P.S. Quello della foto è Kerouac

Fonte: web

mercoledì 6 marzo 2019

L'ultima parola è quella che conta

Il titolo del post è anche quello della poesia, già edita nel libro In quanti siamo rimasti in questo caffè
Mi pare che si abbini al video, se non siete d'accordo, peggio per voi. A me piacciono.


Mi muovo
ansioso
nella morsa
dei miei
impegni.
Con nessuno
che mi aspetta,
d’altronde
non ero partito con
i favori del
pronostico.

Ho sempre amato
le stazioni
dei treni
ed ora
che le frequento
spesso
trovo che trattino
le persone
come queste
meritano,
il tempo di vederle
arrivare
e ripartire
e tanti saluti.

Mentre io mi districo
nei miei
mille impegni
e nessuno che scommetta
un centesimo
su di un mio successo.

Loro,
le persone,
trattano le stazioni
come userebbero - usano -
le altre persone.
Le sfruttano, senza tanti
problemi.
A volte le dimenticano
o le ignorano,
senza sofferenze
o disgrazie,
un po’ come fanno con me.
E in quei momenti
pensano di metterci
umanità.


lunedì 4 marzo 2019

Chi legge (pochi), e chi no (molti), #6

L'articolo di cui vi parlo oggi l'ho letto a fine gennaio, completo lo trovate qui: ilfattoquotidiano.it/problemadicuradeilibri.
Si parla della cura di libri, dal punto di vista degli editori. Cosa che poi si riversa, almeno in parte a detta mia, sui lettori.

...ma chiama in causa  tutti gli editori e un certo modo di pubblicare i libri: sempre meno curato anche nella impaginazione, nella grafica, non solo nella selezione dei contenuti. ...a prevalere è l’urgenza di arrivare in libreria, pur sapendo che la partita sarà durissima perché sempre meno persone considerano il libro un oggetto necessario e sempre più potenziali acquirenti preferiscono andare sulla rete e lì viaggiare tra mille sollecitazioni oppure seguire serie tv anche sofisticate e ben fatte, quindi in sintonia con i gusti e le attese di un lettore forte e ben attrezzato.
L’unico modo ... per contrastare la perdita di lettori è la qualità, qualità dei contenuti e della confezione, dell’oggetto libro, in quanto unico, da secoli uguale a se stesso. Le cose da dire importanti sono ancora oggi depositate nei libri, mentre in rete e sui social tutto è volatile, superabile, provvisorio, come se le parole prendessero un’altra velocità e non fossero le stesse di quelle della carta stampata. “Ho scritto un libro” è ancora diverso da dire “ho scritto un post”. Un libro, su carta o digitale non importa, è costruito grazie a una combinazione di parole che presuppone un disegno, un’impalcatura logica capace di reggere per molte pagine. 
Il libro rappresenta l’ordine della mente, è innanzitutto un atto formale che risponde a un impianto di norme codificate. Tutto il mondo sta lì dentro, in una gabbia con una giustezza definita, una spaziatura regolata, un’interlinea, un’altezza pagina… Se vogliamo, autore ed editore insieme ogni volta che pubblicano un libro pensano di mettere ordine nel disordine del mondo e lo fanno spinti da una vena di temerarietà e presunzione, come se fosse un atto stravagante, quasi una magia e ogni autore avesse la formula segreta per raccontare in quel modo, cioè in quel numero di righe, in quelle pagine, con quelle parole, il senso o il non senso del mondo.
Fino ad oggi il libro apparteneva al nostro immaginario, oggetto tra gli altri oggetti, seppure particolare, ora la rivoluzione digitale ne ha rivelato tutta la sua intrinseca originalità, fino a farne un oggetto a parte, in più.
Se le cose stanno così, se trascuriamo la “bellezza” del libro cominciando a togliere dall’impalcatura quegli elementi che ne fanno un unicum, è possibile che esso diventerà sempre più uguale ad altri contenitori di parole, con il rischio, non calcolato, che ci perderemo in un mare disordinato di parole (i 140 caratteri di Twitter...).  La nostra storia e la nostra identità si appoggiano sui libri, sono lo specchio di noi stessi, di quello che siamo, senza di loro, senza quella misura, quell’ordine, siamo niente.
La mia domanda è: quindi gli editori stanno perdendo il senso di identità di essere editore, oppure sono "schiavi" del sistema e di conseguenza devono adattarsi al nuovo sistema, cioè produrre tanto e di qualità dubbia?
Fonte: web