venerdì 29 marzo 2013

American Ciacoe on air

Uno dei progetti di musica e letteratura più fighi degli ultimi 150 anni, sbarca in radio! American Ciacoe (facebook.com/AmericanCiacoe) sarà ospite a Radio Gamma 5 (radiogammacinque.it) e Radio Spritz (facebook.com/Radiospritz).
  • Radio Gamma 5. Saremo ospiti mercoledì 10 aprile dalle 13.00 alle 14.00 e mercoledì 8 maggio - dalle 12.00 alle 13.00 - e faremo un live in sala conferenze della radio ( via Antoniana 66, Campodarsego - Pd) venerdì 17 maggio, ore 20.45.
  • Radio Spritz. Siamo in registrazione di quattro puntate del nostro progetto. Andranno in onda nei mesi di maggio e giugno.


American Ciacoe, Mr. Baker, Andy Groove, Miss Norway and Frankie Pawn Shop, Will take you hand in hand through paths made of stories, music, images and experiences to better understand what the united states were from 1920 to 1970.

mercoledì 27 marzo 2013

A proposito di cultura...

Riprendo alcune parti di un articolo apparso su Repubblica (repubblica.it - repubblica.it/scuola/italiatistruzione), che fotografa molto bene la condizione culturale italiana. Il nostro belpaese è quello che ha ridotto di più i bilanci per l'istruzione, -10,4%, tra il '10 e il '12.



Come si legge nell'articolo: Bruxelles arriva una autentica strigliata. "Sono tempi difficili per le finanze nazionali ma abbiamo bisogno di un approccio coerente in tema di investimenti pubblici nell'istruzione e nella formazione poiché questa è la chiave per il futuro dei nostri giovani e per la ripresa di un'economia sostenibile nel lungo periodo". Come dire: la crisi c'è ma occorre capire cosa tagliare. La tirata di orecchie all'Italia arriva direttamente dalla Commissione europea che ha passato in rassegna i bilanci dei 27 Paesi membri scoprendo che negli ultimi tre anno soltanto otto hanno tagliato sull'istruzione. E l'Italia è la prima.

Vassiliou, commissario per l'istruzione, dichiara: "Se gli Stati membri non investono adeguatamente nella modernizzazione dell'istruzione e delle abilità ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali e avremo difficoltà ad affrontare il problema della disoccupazione giovanile". Gelmini docet...

Ma non tutti i Paesi hanno tagliato sull'istruzione. L'articolo riporta che:  Lussemburgo, Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia e Turchia - solo per citare alcuni Stati dell'Ue o candidati a farne parte -  nonostante le difficoltà hanno scommesso sulla scuola incrementando le risorse. In testa la Turchia che fa registrare un più 16,5 per cento, seguita dal Lussemburgo col 7,4 per cento in più in appena due anni. Grecia, Italia e Inghilterra in coda. Col nostro Paese che dal 2010 al 2012 ha tagliato il bilancio della scuola - dalla materna alle superiori - del 10,4 per cento. Una sforbiciata accompagnata dal taglio di quasi 100mila cattedre e da un alleggerimento dei conti anche dell'università: meno 9,2 per cento in 24 mesi.

Lo studio della Commissione ne ha anche per gli insegnanti: in Italia - dal 2000 al 2010 - meno 11,1 per cento mentre in Germania si è incrementato del 13,0 per cento. Così com'è avvenuto in Finlandia (più 12,9 per cento), in Svezia (più 21,9 per cento) e Norvegia. L'esecutivo Ue stigmatizza anche gli effetti della crisi sulle buste paga degli insegnanti - che pesano per il 70 per cento della spesa scolastica - congelate o addirittura ridotte in 11 Paesi, Italia compresa.

lunedì 25 marzo 2013

Drop out

Pubblico integralmente un articolo sull'abbandono della pratica sportiva dei ragazzi. Pubblicato dalla Gazzetta (www.gazzetta.it), l'articolo è della Bocchi, parla di riflessioni molto interessanti sull'abbandono sportivo, di Maurizio Mondoni, vecchia conoscenza per noi cestisti, che condivido in pieno. Il problema è che molti colleghi che, a parole, condividono queste rifdlessoni, poi nei fatti sono degli sfruttattori sportivi dei minori. Evito altre riflessioni perché poi sarebbe facile scadere nel banale. Io la mia parte la faccio in palestra!
Aggiungo un elemento di cui non si parla nell'articolo: la crisi economica. L'attuale momento difficile si sta abbattendo anche nel mondo dello sport. Le famiglie, capita sempre più spesso, non mandano più i ragazzi a fare attività sportiva perché non se lo possono più permettere.
Buona lettura.
L’80% dei bambini italiani in età pre-puberale pratica almeno uno sport, ma verso i 14 anni, proprio durante la fase di sviluppo più delicata e in cui l’attività fisica sarebbe un vero toccasana per la crescita del ragazzo a livello fisico, psicologico e sociale, questo esercito di mini atleti si riduce drasticamente. Divenuti adolescenti, la metà di loro abbandonano. Cosa succede? Quali i motivi di questa improvvisa disaffezione? Il fenomeno, denominato “drop out”, sempre più diffuso, ha attirato l’attenzione di numerosi psicologi, terapeuti, istruttori che hanno individuato attraverso i loro studi varie e differenti motivazioni. L’agonismo esasperato fin da giovanissimi. Il risultato a tutti i costi. L’illusione preclusa di divenire dei campioni. Nuovi interessi. Genitori e, in genere ambiente esterno, troppo esigenti e pressanti. Il venire meno di divertimento e motivazioni. All’origine dell’abbandono, quindi, non un’unica causa, ma più elementi spesso concomitanti. Ma, come ci dice Maurizio Mondoni, docente di Teoria, tecnica e didattica dei giochi sportivi al Corso di laurea in Scienze Motorie e dello Sport all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: “Per capire il perché un ragazzo improvvisamente lascia un’attività sportiva che ha praticato per anni è necessario comprendere quali sono le molle iniziali che gli hanno fatto decidere di intraprenderla. E tra queste su tutte il divertimento, la gioia di giocare, di fare parte di un gruppo, conoscere nuovi amici. Se i giovani non trovano soddisfatti questi loro bisogni primari, lasciano”.
La vittoria ad ogni costo — Molte volte, tuttavia, nell’attività motoria proposta dagli adulti non c’è gioco, gioia e allegria. Al loro posto pressioni eccessive, agonismo esasperato, allenamenti noiosi. “Sono molti gli allenatori molto più preoccupati a vincere o a non perdere – precisa Maurizio Mondoni - piuttosto che interessati alla prestazione dei propri atleti. Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, magari promettendo anche ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport. Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto”.
L’importante è la prestazione, non il risultato — La componente agonistica è innata: a nessuno piace perdere. Ha per altro anche una valenza positiva per la crescita psichica ed emotiva degli adolescenti, ma va assolutamente rifiutata come filosofia e unico obiettivo, come un qualcosa di indispensabile per essere accettati e avere successo. “E’ fondamentale insegnare ai ragazzi a gestire la sconfitta e a utilizzare gli errori - precisa Mondoni -, credendo in loro, apprezzando i loro sforzi e sollecitandoli continuamente a essere volonterosi e tenaci. Il giovane non ha fallito se, pur perdendo, ha dato il massimo. Ogni atleta desidera essere rinforzato per la qualità della sua prestazione più che per la vittoria. Se un giovane commette un errore non lo si deve punire, ma fargli capire dove ha sbagliato e cosa dovrebbe fare per correggersi, utilizzando un linguaggio sempre positivo. Quando l’atleta è a conoscenza che il suo allenatore vuole il massimo dal suo impegno e per questo è rinforzato, non avrà più paura di provare e riprovare, accrescendo così la propria autostima. Al contrario, se il giovane si aspetta di essere premiato solo in base al risultato, pensando alle possibili conseguenze negative delle sue iniziative, avrà il timore di fallire, mostrando ansia e insicurezza”.
Per prevenire l’abbandono — E’ stato ampiamente dimostrato che esasperare l’attività agonistica in età precoce, da non confondersi con un avviamento precoce all’attività motoria e al gioco, è la strada sbagliata, quella che con maggiori probabilità porta al “drop out”. Per evitare che ciò accada si deve affrontare il problema alla radice. “All’inizio si deve far giocare il bambino allo sport – prosegue Mondoni – e non fargli praticare lo sport. Gli allenamenti devono essere divertenti, interessanti, didatticamente validi, con obiettivi legati all’età e al livello di maturazione di ciascuno. L’allenatore non deve essere un leader autoritario, ma autorevole, non deve essere troppo permissivo, ma empatico, motivatore, stimolatore, entusiasta. Deve potere instaurare con i ragazzi un dialogo sincero e creare un clima di gruppo positivo, in cui si respiri aria di collaborazione, fiducia, sostegno e stima reciproca. Infine, i genitori, pur essendo assolutamente indispensabili nell’organizzazione pratica delle giornate dei propri figli, devono interferire il meno possibile, evitando di esercitare pressioni e di riversare su di loro eccessive aspettative”.

sabato 23 marzo 2013

"La fatica" a San Donà di Piave

Venerdì 5 aprile presenterò La fatica di non pensare a San Donà di Piave (Ve) al Centro Culturale Leonardo Da Vinci (facebook.com/CentroCulturaleDaVinci) - inizio ore 18.30, sarò accompagnato dalla dottoressa e amica Caterina Rampazzo, curatrice della sinossi del libro. Faremo un chiacchierata sul mio libro, senza trascurare l'attualità.
Intanto leggetevi i post degli ultimi giorni: la poesia upper class, già pubblicata ne Una complessa semplicità; ernest non lo avrebbe mai fatto e la perdente, due poesie inedite. Poi, i post sulla cultura a proposito di cultura e sullo sport drop out.




LA FATICA DI NON PENSARE ma anche il mio precedente libro UNA COMPLESSA SEMPLICITA', si possono acquistare anche online.
LA FATICA DI NON PENSARE è acquistabile anche in formato e-book, al prezzo di € 3,49.  Alcuni siti dove poterli acquistare: www.ibs.it, www.amazon.it, www.unilibro.it.

Per me, una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno avanti come pecore.
Fabrizio De André

mercoledì 20 marzo 2013

Ernest non lo avrebbe mai fatto

Si lasciarono con un ultimo bacio.
Perché le loro vite inseme non erano mai state amore.
A pensarci bene e a voler sorridere
la loro relazione era una bisca clandestina.
In quel poco tempo che trascorsero insieme,
si amarono e si distrussero.
Ma solo così potevano essere felici.
Perché lui non la amava, la viveva profondamente.
Ogni istante, ogni disperato istante.
Lui odiava la parola amore, gli altri amavano,
lui faceva di più.
Ma sapeva che l’unico a vincere era il destino.
Non si salutarono.
Camminarono, lontani dalla loro vita insieme.
Ognuno in compagnia della propria solitudine.
Lei, con in mano il libro che lui le aveva regalato,
quello del suo scrittore preferito.
Un libro da leggere centinaia di volte,
per continuare ad amare, il suo uomo abbandonato.
Per versare lacrime e assaporare rimpianti.
Lui, con la rabbia di chi non merita di perdere.
Neanche se il gioco è clandestino.

Poi, un giorno,
un attimo prima di spirare
lei penserà a lui
e quel bacio che darà al vuoto
in quella camera di ospedale
sarà per quell’uomo
perso anni prima.
Per paura e per vigliaccheria.
Quando lui verrà a saperlo
sarà seduto su una panchina, al parco.
Ormai vecchio e vinto, ma non sconfitto, dalla vita.
E sputerà per terra, per la rabbia.
E piangerà, perché lei non leggerà più quel libro di Hemingway.

martedì 19 marzo 2013

Upper class



Oggi pubblico una mia poesia tratta da Una complessa semplicità (UNI Service editrice, 2010).
Buona lettura!


Essere razzista, bigotto e intollerante.

Sapendo di non essere proprio un esempio,
ma poi cosa vuol dire essere un esempio?
Non dipende forse dai punti di vista? Bah!

Con a casa tanti panni sporchi da lavare ma l’acqua manca.
Se ti capita di ascoltare “Quelli che ben pensano” di Frankie HI-NRG MC
cambi canale e sei il primo ad essere irraggiungibile.
Provi a piazzare le tue figliole nell’upper class.
Per poter un giorno dire
“Tutte quelle fatiche sono state ripagate”.
E il giorno del matrimonio abbraccerai
tuo genero, quello sì dell’upper class.
Già cornuto da un pezzo ma mistificato per via
delle garanzie economiche che darà ai tuoi nipotini.
Per non parlare dei vicini, tutti di una brutta razza!
E navighi in facebook solo per vedere dei brutti ceffi
da criticare che magari sono felici delle loro vite
e hanno pure successo nel loro lavoro.
Mentre tu navighi a vista perché
hai un padrone 8 ore al giorno,
se ti va bene,
sennò sono 10 o 12,
a cui devi leccare il culo.
Loro, i brutti ceffi,
sono quello che vogliono
e dicono “SI’”
solo a se stessi.

E quando finalmente il seggio si aprirà anche per te
potrai finalmente sentirti Italiano e proteggere la tua
Patria da zingari, ladri, prostitute, comunisti
con il pensiero a tuo genero (sempre più cornuto)
che ha i NAS alle calcagna.




lunedì 18 marzo 2013

Alla Domus con Fabrizio Carollo

Giovedì presenterò La fatica di non pensare a Codevigo (Pd) alla Domus de Janas (domusdejanas@live.com) - inizio ore 21.00, prenotazione obbligatoria. La serata prevede cena e momento culturale.
Non sarò da solo, presenterò il mio libro assieme al collega e amico Fabrizio Carollo (www.facebook.com/fabrizio.carollo), che a sua volta presenterà la sua ultima fatica, L'armonia dei sogni spezzati.




LA FATICA DI NON PENSARE ma anche il mio precedente libro UNA COMPLESSA SEMPLICITA', si possono acquistare anche online.
LA FATICA DI NON PENSARE è acquistabile anche in formato e-book, al prezzo di € 3,49.  Alcuni siti dove poterli acquistare: www.ibs.it, www.amazon.it, www.unilibro.it.

Per me, una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno avanti come pecore.
Fabrizio De André

domenica 17 marzo 2013

La perdente

Sei una perdente
perché non hai mai lottato veramente
perché sai sempre che perderai
perché in realtà non hai voglia di vincere.
Non sai cosa sia il coraggio.
Sei una perdente
come un uomo ubriaco.
Sei una perdente
come una torta riuscita male.
Sei una perdente
come chi non ti capisce.
Sei una perdente
come le idee che vivono lo spazio di una notte.
Sei una perdente
come gli amori nati già morti.
Sei una perdente
come il tuo esempio e la tua opinione.
Sei noiosa
come questa poesia.
In questo caso avrei perso io,
ma la mia rivincita ce l’ho.
Perché tu non potrai nulla contro lo specchio.
Continuerai a guardarti e sarai sempre sicura che quella perdente che vedi
sei tu.
Io, invece, no!
Questa noiosa poesia può finire subito.
Ora.

venerdì 15 marzo 2013

Democrazia vaticana

Vi riporto integralmente un articolo di Carotenuto (www.gennarocarotenuto.it) sul nuovo papa. Mi piace molto. Senza troppe parole idolatranti nei confronti di un estremista, come tutti i papi, ma neanche con invettive oltraggiose sinistrorse. 
Buona lettura!

Jorge Bergoglio, Papa Francesco I, è quello che in Argentina si definisce un “conservatore popolare”, un esponente tipico –e dichiarato- della destra peronista. Sinceramente attento alla povertà, umile a sua volta, ha già rinnovato con successo la chiesa argentina senza modificarne il segno politico conservatore. È l’erede materiale e spirituale di Karol Wojtyla e, per i cardinali che lo hanno eletto in conclave, deve essere apparso una scelta perfetta su più d’uno dei fronti aperti per la chiesa cattolica. Infatti può essere davvero l’uomo in grado di metter fine ai veleni curiali che secondo lo Spiegel hanno portato al “fallimento” Benedetto XVI. È quello che i giornali stanno indicando come esponente del partito della trasparenza. Lo ha fatto, e bene, in alcuni contesti. Allo stesso tempo rilancia il cattolicesimo in un continente letteralmente assalito dalle chiese protestanti conservatrici. La percezione europea di una chiesa cattolica egemone in America latina è gravemente viziata dalla mancanza di notizie su di un fenomeno che sfiora il 50% dei fedeli in alcuni paesi e figlio della guerra senza quartiere alla teologia della liberazione che ha portato i poveri a cercare una spiegazione altra in un dio meno lontano. Inoltre Bergoglio può rappresentare allo stesso tempo un’alternativa conservatrice ai governi progressisti e integrazionisti latinoamericani dei quali in molti si aspettano che possa diventare un leader alternativo continentale. Per qualcuno –chi scrive non ne è convinto anche se l’idea ha un suo fascino- Bergoglio può stare all’America latina integrazionista come Wojtyla stava all’Europa dell’Est del socialismo reale. Nonostante abbia spesso puntato il dito contro la politica, la corruzione di questa e la disattenzione ai problemi delle periferie, Bergoglio si è scontrato ripetutamente anche coi governi della sinistra peronista di Néstor Kirchner e Cristina Fernández. Gli scontri più duri, ma questo non può sorprendere, sono stati sull’aborto e sul matrimonio egualitario. Le nozze gay per papa Francesco sono «la distruzione del piano di dio».
Infine: Francesco I ha una missione difficile ma chiara ed appare avere la solidità ed esperienza per portarla avanti, ma è sufficientemente anziano -77 anni- per rappresentare un nuovo papato di transizione in termini di durata. Tuttavia Bergoglio viene da lontano e, nonostante non abbia avuto un ruolo apicale nella chiesa argentina complice della dittatura, emerge da quella storia con un passato che potrebbe fiaccarne l’autorità e che è corretto conoscere fuor da demonizzazioni e santificazioni. Per iniziare dalle demonizzazioni: la foto che gira da ore in Internet e che è al momento in apertura sul sito del settimanale messicano Proceso, dove si vede un prelato dare la comunione al dittatore Videla, è un falso: non è Bergoglio. Inoltre, tra le accuse che esamineremo, al contrario di quanto si trova ripetutamente affermato, non ve ne sono che abbiano condotto alla morte di alcuno.
È difficile essere stati un prelato importante in Argentina negli anni ’70 essendo estraneo ad una storia di lacerazioni, drammi, crimini, persecuzioni quale quella della chiesa argentina. Questa, al contrario di quella cilena e quella brasiliana, che poterono vantare più luci che ombre, fu sicuramente la peggiore, complice e spesso perfino mandante tra tutte le chiese cattoliche, dei crimini commessi dalle dittature civico-militari che devastarono l’America latina negli anni ’60 e ‘70. Appena un mese fa fu messa nero su bianco in una sentenza della magistratura la piena complicità della chiesa cattolica, incluso il primate dell’epoca, Cardinal Raúl Primatesta e del nunzio apostolico Pio Laghi, nell’assassinio del vescovo Enrique Angelelli e dei sacerdoti Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville. La sentenza confermava quanto si sapeva da mille testimonianze e documenti. All’interno del genocidio la chiesa cattolica argentina non fu solo complice ma i suoi vertici operarono una sorta di sterminio interno facendo eliminare preti e suore vicini all’opzione preferenziale per i poveri decisa nella Conferenza Eucaristica di Medellin del 1968 o semplicemente scomodi. Furono almeno 125 i sacerdoti impegnati a fianco degli ultimi a morire o essere fatti sparire. Molti di quelli che persero la vita furono indicati ai carnefici dalle stesse gerarchie cattoliche, Tortolo, Primatesta, Aramburu, che collaborarono attivamente sia ai crimini che al successivo occultamento.
Stiamo parlando di un crinale difficile tra la complicità e la morte ed è in quest’ambito che azioni ed omissioni vanno misurate. L’ordine di appartenenza di Papa Francesco I, quello gesuita, resta al margine della complicità con la dittatura dei 30.000 desaparecidos e della guerra intestina nella stessa chiesa. Tuttavia non sono poche le accuse che colpiscono l’oggi papa argentino per quei sei anni da provinciale gesuita dal 1973 al 1979. Quella più grave e circostanziata gli viene mossa in particolare da Horacio Verbitsky, l’autore di “El Vuelo”, il primo libro che denunciava i voli della morte, sempre scrupoloso nelle sue denunce, e oggi presidente del CELS, la più importante istituzione in difesa dei diritti umani del paese, è l’aver privato di protezione alcuni giovani parroci del suo ordine, troppo esposti nel lavoro sociale con i più poveri. Due di loro furono sequestrati per cinque mesi. Uno di questi, Orlando Yorio, denunciò a Verbitsky di essere stato consegnato da Bergoglio allo stesso Massera e sono molte le testimonianze sull’amicizia tra il nuovo papa e l’Ammiraglio piduista: «Bergoglio se ne lavò le mani. Non pensava che uscissi vivo». Per Emilio Mignone, una delle più cristalline figure di difensore dei diritti umani in Argentina, che conferma i dettagli della denuncia di Verbitsky, e autore di uno dei testi tuttora fondamentali su chiesa e dittatura, Bergoglio «è uno di quei pastori che hanno consegnato le loro pecorelle». Le accuse di Verbitsky sono confermate anche da Olga Wornat, il lavoro della quale è in genere suffragato da un numero enorme di testimonianze.
Dopo la dittatura, anche negli ultimi anni, Bergoglio fu chiamato a testimoniare in molteplici circostanze in inchieste e processi per violazioni di diritti umani. Non ha mai parlato. Chi scrive ha personalmente verificato in queste ore il suo silenzio con il PM che indagava sul sequestro di una giovane incinta. Se quelli indicati sono precedenti che ne fanno un complice pieno della dittatura sta al lettore deciderlo. A chi scrive il puntare il dito sembra troppo e l’assoluzione troppo poco. Bergoglio non fu né un Aramburu né un Von Wernich ma neanche un padre Mujíca, uno dei sacerdoti assassinati. Sta in una zona grigia, un quarantenne in ascesa, con un ruolo importante ma non ancora di spicco, in una chiesa argentina dove si mandava ad uccidere o si rischiava di essere uccisi.
Bergoglio era dal 1973 provinciale dei gesuiti. In un ordine tradizionalmente progressista, e condotto da Padre Arrupe, il papa nero che nei primi anni ‘80 si scontrava e veniva ridotto all’impotenza da Giovanni Paolo II, è Bergoglio ad essere emarginato dai suoi. Per Luís “Perico” Pérez Aguirre, prestigioso gesuita uruguayano, fondatore del SERPAJ e consigliere dell’ONU in materia di diritti umani, che chi scrive ha avuto occasione di conoscere e ammirare, prima della morte nel 2000, in una testimonianza raccolta da Olga Wornat: «Bergoglio [che si era da tempo votato ad una relazione di obbedienza asosluta a Karol Wojtyla] stravolse completamente il segno della Compagnia da progressista in conservatrice e retrograda. Ho rotto ogni rapporto con lui, soprattutto rispetto al suo agire durante la dittatura».
Il cambiamento sarà strutturale, nella retrograda Chiesa argentina la Compagnia non fa più eccezione. Lui però guarda oltre ed è al di fuori del suo ordine che saprà tornare in pista. Formalmente ancora gesuita, dal 1979 in avanti si muoverà al di fuori. Della sua carriera Bergoglio deve molto al successore di Primatesta, Antonio Quarracino. Differente da Primatesta, e con un lontano passato progressista concluso già alla fine degli anni ’60, Quarracino era tutt’altro che un santo. L’ostentazione della ricchezza, basta pensare ad Aramburu, è un altro tratto delle gerarchie argentine dal quale il nuovo papa è completamente esente. Scegliere come ausiliare Bergoglio, quel vescovo semplice e irreprensibile, era per Quarracino una maniera di coprirsi il fianco da tante critiche.
Non si comprometteva Bergoglio con le feste che frequentava il Cardinal Quarracino nella casa di Olivos e dove s’intratteneva come un Apicella qualsiasi suonando la chitarra per Carlos Menem. Erano altri anni oscuri per l’Argentina, quelli del menemismo. Molte cose distanziavano i due prelati. Il primate aveva interessi mondani, l’ausiliare faceva il vescovo, centrando la propria missione nella formazione del clero e nell’attenzione al popolo delle villa miseria che circondano tutt’ora il gran Buenos Aires. Bergoglio seppe mantenere con Quarracino relazioni cordiali ma distanti. Forse era l’unica maniera di tener fede sia ai voti di castità e povertà che a quello di obbedienza.
Fu in questa relazione tra due prelati così diversi che Bergoglio si costruì un ruolo di punto di riferimento per una nuova generazione di sacerdoti argentini anche quando, primo gesuita della storia, succederà a questo nel 1998. Sulle sue spalle cadrà di nuovo il peso di riscattare una chiesa cattolica dal passato tenebroso. Emergeranno però anche le caratteristiche che oggi lo portano al soglio pontificio: la mano di ferro con la quale ha condotto la chiesa argentina (e che ne fa uno spauracchio ora per la curia romana), la marcata preoccupazione sociale, la critica alla politica. Soprattutto Bergoglio –ed è un punto di forza rilevante- risulta straordinariamente interessato alla vita del suo clero. Si preoccupa per le necessità materiali, è presente, è vicino e accessibile. Perfino Clelia Luro (testimonianza a chi scrive), la terribile compagna del vescovo Jerónimo Podestá, salva solo Bergoglio di tutto il clero argentino che aveva isolato il prelato che aveva deciso di combattere la battaglia per la fine del celibato. Bergoglio, nonostante non condividesse la decisione del vescovo, che fu infine ridotto allo stato laicale, gli rimase vicino umanamente fino alla fine.
Il passato ritorna però e il profilo di Bergoglio resta basso. Tenta di difendere se stesso e la chiesa argentina. In particolare per quest’ultima c’è poco da difendere. Primatesta e Aramburu avevano eretto un muro di inaccessibilità ai familiari delle vittime che neanche in chiesa –al contrario di quanto era successo con la Vicaría della Solidaridad a Santiago del Cile- avevano trovato sicurezza. Una macchia indelebile che continua a distanziare molti fedeli dalla Chiesa cattolica. Lui ha scelto di denunciare in maniera generica e spesso netta i peccati (con una posizione non lontana dalla teoria dei due demoni) ma di salvare i peccatori, sia quando è stato chiamato a testimoniare in tribunale, sia quando ha scritto o ha preso decisioni politiche. Quando nel 2007 fu chiamato a prendere provvedimenti nei  confronti di Christian Von Wernich, il sacerdote condannato all’ergastolo per avere sequestrato personalmente 42 persone, assassinate 7 e torturate 32, espresse parole forti ma non comminò alcuna sanzione come tutto il mondo democratico e dei diritti umani chiedeva. Von Wernich sta oggi scontando l’ergastolo ma è a tutti gli effetti un sacerdote e nessun provvedimento disciplinare è stato preso nei confronti del carnefice che le vittime descrivono come un vero demonio.
Ma chi è davvero Jorge Bergoglio, Papa Francesco I che comincia il suo cammino di Vescovo di Roma con un passato così pesante? Integralista di destra mette i poveri al centro del suo apostolato. Vicino alla dittatura militare rende omaggio ai sacerdoti assassinati da questi ultimi. Ha fatto una carriera tutta controcorrente, conservatore in un ordine considerato progressista, primo gesuita primate argentino, primo gesuita papa, primo papa latinoamericano. Nemico dei progressisti e di tutti i politici (li detesta e non lo manda a dire, quasi grillino in questo) e lontano dagli organismi per i diritti umani, esige dallo Stato educazione cattolica ed è contrario ai contraccettivi, ma nessuno può accusarlo di non onorare i propri voti, in particolare quello di povertà. Chi scrive sconsiglia di incastrarlo nella figura a lui aliena di sacerdote proveniente da una “chiesa giovane” e varie altre semplificazioni giornalistiche che domattina troveremo. Viene da una chiesa strutturata e complessa e da una realtà metropolitana dura. L’associazione con Medellin poi è del tutto fuori luogo. L’attenzione di Bergoglio per i poveri è di stampo infaticabilmente caritatevole, mai politico. Tuttavia bisogna rifuggere anche l’interpretazione tenebrosa del complice della dittatura tout court, come quella di una papa scelto per fermare il cambiamento in America. Nonostante sia una figura ben diversa da quella di Ratzinger, è un papa con tratti di forte continuità soprattutto con Karol Wojtyla. Questo combatté e vinse la battaglia con la teologia della liberazione senza comprendere le ragioni di questa, per perdere poi quella con le chiese protestanti. È lì che va atteso fin dal prossimo viaggio in Brasile il nuovo papa.
A Buenos Aires, dicono gli amici ma senza che alcun detrattore lo contesti, sparisce ogni volta che può per infilarsi in orfanotrofi, carceri, ospedali a compiere il suo apostolato. Chissà se potrà farlo anche a Roma.

mercoledì 13 marzo 2013

J.R. Moehringer

Acquistai Il bar delle grandi speranze affascinato dagli occhi del ragazzino che si potevano ammirare in copertina. Scoprii uno dei più belli libri americani di questo secolo.
E' per questo motivo che vi invito a leggere l'ultimo libro di Moehringer, premio Pulitzer e ghost writer di Open, autobiografia di Agassi, Pieno giorno editore Piemme.
Vi riporto la sinossi.

Una storia che comincia e finisce in un giorno. Una storia che dura una vita. Si può rivivere una vita in un giorno? Si può. Accade a New York, il giorno di Natale del 1969, a Willie Sutton, uscito da poche ore dal penitenziario di Attica dopo che il governatore Rockefeller gli ha concesso la grazia per motivi di salute. Questa storia è tante storie. Tutte vere. O forse no. E una storia che comincia agli albori del ventesimo secolo, quando Willie evade dal grembo della Madre. E una storia che comincia nel 1919, quando lo sguardo di Willie incontra l'oro negli occhi di Bess. E una storia che comincia nel 1969, l'anno dell'uomo sulla Luna. E una storia di astronauti e di sirene, di guardie e di ladri, di magnati e di giardinieri, di prostitute e di galeotti. E una storia in fuga, da Sing Sing e dalla solitudine, dalla povertà e dalla mancanza d'amore. E una storia di libri, perché i libri ti cambiano la vita. E una storia di soldi, maledetti soldi. E una storia di banche, maledette banche. Perché è nelle banche che ci sono i soldi, ed è per questo che Willie Sutton le rapina. Con una pistola che non ha mai sparato, e un travestimento ogni volta diverso. Perché lui è Willie l'Attore, e recita dal vivo sul palcoscenico del crimine. Un eroe - o un antieroe - sulle strade della Grande Mela, insieme a un Giornalista e un Fotografo. Guidati da Willie sulle tracce del suo passato, i due hanno solo un giorno per ottenere la storia da prima pagina che vuole il giornale. Ma anche Willie vuole una storia.

lunedì 11 marzo 2013

La fatica di non pensare con Massimo a Bassano

Vi aspetto sabato alle 18.30, a Bassano del Grappa (Vi), al Caffè dei libri (www.vicologamba.it - facebook.com/VICOLOGAMBACaffèdeiLibri) per la presentazione, in versione reading musicale, de La fatica di non pensare.
Sarò accompagnato dal raffinato cantautore, nonché amico fraterno, Massimo Danieli (facebook.com/macydanieli).

Vi allego la locandina dell'evento e un qualche video di Massimo. A sabato!






 

 



LA FATICA DI NON PENSARE ma anche il mio precedente libro UNA COMPLESSA SEMPLICITA', si possono acquistare anche online.
LA FATICA DI NON PENSARE è acquistabile anche in formato e-book, al prezzo di € 3,49.  
Alcuni siti dove poterli acquistare: www.ibs.it, www.amazon.it, www.unilibro.it.


Per me, una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno avanti come pecore.
Fabrizio De André

sabato 9 marzo 2013

Primo passo per il papato: leggere Lansdale!

Ci sono delle cose che una persona, per essere definita tale, non può non fare. Una di queste è leggere Lansdale! Avete modo di rimediare a questa vostra mancanza, leggendo Una coppia perfetta, di cui vi riporto la sinossi, tre racconti che hanno come pratagonisti i mitici Hap e Leonard

Tra i tantissimi ammiratori di Joe R. Lansdale esiste uno "zoccolo duro" che ha sempre avuto un debole per la serie di romanzi che ha per protagonisti Hap (bianco, liberal e donnaiolo) e Leonard (nero, conservatore e gay). Da "Una stagione selvaggia" a "Sotto un cielo cremisi", i due detective dai metodi a volte spicci ma dall'etica (a loro modo) immacolata sono passati per ogni sorta di avventura, uscendone spesso malconci, sempre ilari e innamorati della vita e del loro mondo. La stessa cosa che accade in queste tre novelle: "Le iene", "Nelle mani di Veil" e "Sparare alla cieca". Altrettanti gioielli, nei quali Hap e Leonard devono vedersela con una banda di rapinatori senza scrupoli, con la Dixie Mafia, con gli spacciatori di crack. E con la legge, sempre meno propensa a tollerare che i casi loro assegnati finiscano regolarmente in una ridda di liti, scazzottate, sparatorie. 

€ 16,00 - Editore Einaudi. Collana Stile libero  ISBN 9788806208936  www.einaudi.it

venerdì 8 marzo 2013

Bisogno di solitudine




Sto provando
a leggere
Buk e Carver
mentre ascolto
un programma
alla radio.

Non vorrei essere disturbato
ma non è così.
Porto pazienza
ricordandomi
che dobbiamo confrontarci anche con gli altri.
Nonostante ci annoino.

Alcune delle qualità che preferisco
nelle  persone
è lo stare zitte quando glielo chiedo,
starmi lontano quando non è giornata,
e in giorni come questo
non è giornata.

Ma veniamo a me,
potrei farmi una Guinness al Basket Makers Arms
o una rossa al Cokney London Pub.
Ma tutto questo non mi è possibile,
smetto di leggere.
Hanno vinto gli altri,
che parlino pure.

Non li ascolterò.



Da La fatica di non pensare - Edizioni del Faro