Vi riporto integralmente un articolo di Carotenuto (www.gennarocarotenuto.it) sul nuovo papa. Mi piace molto. Senza troppe parole idolatranti nei confronti di un estremista, come tutti i papi, ma neanche con invettive oltraggiose sinistrorse.
Buona lettura!
Jorge Bergoglio, Papa Francesco I, è quello che in Argentina si
definisce un “conservatore popolare”, un esponente tipico –e dichiarato-
della destra peronista. Sinceramente attento alla povertà, umile a sua
volta, ha già rinnovato con successo la chiesa argentina senza
modificarne il segno politico conservatore. È l’erede materiale e
spirituale di Karol Wojtyla e, per i cardinali che lo hanno eletto in
conclave, deve essere apparso una scelta perfetta su più d’uno dei
fronti aperti per la chiesa cattolica.
Infatti può essere davvero l’uomo in
grado di metter fine ai veleni curiali che secondo lo Spiegel hanno
portato al “fallimento” Benedetto XVI. È quello che i giornali stanno
indicando come esponente del partito della trasparenza. Lo ha fatto, e
bene, in alcuni contesti. Allo stesso tempo rilancia il cattolicesimo in
un continente letteralmente assalito dalle chiese protestanti
conservatrici. La percezione europea di una chiesa cattolica egemone in
America latina è gravemente viziata dalla mancanza di notizie su di un
fenomeno che sfiora il 50% dei fedeli in alcuni paesi e figlio della
guerra senza quartiere alla teologia della liberazione che ha portato i
poveri a cercare una spiegazione altra in un dio meno lontano. Inoltre
Bergoglio può rappresentare allo stesso tempo un’alternativa
conservatrice ai governi progressisti e integrazionisti latinoamericani
dei quali in molti si aspettano che possa diventare un leader
alternativo continentale. Per qualcuno –chi scrive non ne è convinto
anche se l’idea ha un suo fascino- Bergoglio può stare all’America
latina integrazionista come Wojtyla stava all’Europa dell’Est del
socialismo reale. Nonostante abbia spesso puntato il dito contro la
politica, la corruzione di questa e la disattenzione ai problemi delle
periferie, Bergoglio si è scontrato ripetutamente anche coi governi
della sinistra peronista di Néstor Kirchner e Cristina Fernández. Gli
scontri più duri, ma questo non può sorprendere, sono stati sull’aborto e
sul matrimonio egualitario. Le nozze gay per papa Francesco sono «la
distruzione del piano di dio».
Infine: Francesco I ha una missione difficile ma chiara ed appare
avere la solidità ed esperienza per portarla avanti, ma è
sufficientemente anziano -77 anni- per rappresentare un nuovo papato di
transizione in termini di durata. Tuttavia Bergoglio viene da lontano e,
nonostante non abbia avuto un ruolo apicale nella chiesa argentina
complice della dittatura, emerge da quella storia con un passato che
potrebbe fiaccarne l’autorità e che è corretto conoscere fuor da
demonizzazioni e santificazioni. Per iniziare dalle demonizzazioni: la
foto che gira da ore in Internet e che è al momento in apertura sul sito
del settimanale messicano Proceso, dove si vede un prelato dare la
comunione al dittatore Videla, è un falso: non è Bergoglio. Inoltre, tra
le accuse che esamineremo, al contrario di quanto si trova
ripetutamente affermato, non ve ne sono che abbiano condotto alla morte
di alcuno.
È difficile essere stati un prelato importante in Argentina negli
anni ’70 essendo estraneo ad una storia di lacerazioni, drammi, crimini,
persecuzioni quale quella della chiesa argentina. Questa, al contrario
di quella cilena e quella brasiliana, che poterono vantare più luci che
ombre, fu sicuramente la peggiore, complice e spesso perfino mandante
tra tutte le chiese cattoliche, dei crimini commessi dalle dittature
civico-militari che devastarono l’America latina negli anni ’60 e ‘70.
Appena un mese fa fu messa nero su bianco in una sentenza della
magistratura la piena complicità della chiesa cattolica, incluso il
primate dell’epoca, Cardinal Raúl Primatesta e del nunzio apostolico Pio
Laghi, nell’assassinio del vescovo Enrique Angelelli e dei sacerdoti
Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville. La sentenza confermava
quanto si sapeva da mille testimonianze e documenti. All’interno del
genocidio la chiesa cattolica argentina non fu solo complice ma i suoi
vertici operarono una sorta di sterminio interno facendo eliminare preti
e suore vicini all’opzione preferenziale per i poveri decisa nella
Conferenza Eucaristica di Medellin del 1968 o semplicemente scomodi.
Furono almeno 125 i sacerdoti impegnati a fianco degli ultimi a morire o
essere fatti sparire. Molti di quelli che persero la vita furono
indicati ai carnefici dalle stesse gerarchie cattoliche, Tortolo,
Primatesta, Aramburu, che collaborarono attivamente sia ai crimini che
al successivo occultamento.
Stiamo parlando di un crinale difficile tra la complicità e la morte
ed è in quest’ambito che azioni ed omissioni vanno misurate. L’ordine di
appartenenza di Papa Francesco I, quello gesuita, resta al margine
della complicità con la dittatura dei 30.000 desaparecidos e della
guerra intestina nella stessa chiesa. Tuttavia non sono poche le accuse
che colpiscono l’oggi papa argentino per quei sei anni da provinciale
gesuita dal 1973 al 1979. Quella più grave e circostanziata gli viene
mossa in particolare da Horacio Verbitsky, l’autore di “El Vuelo”, il
primo libro che denunciava i voli della morte, sempre scrupoloso nelle
sue denunce, e oggi presidente del CELS, la più importante istituzione
in difesa dei diritti umani del paese, è l’aver privato di protezione
alcuni giovani parroci del suo ordine, troppo esposti nel lavoro sociale
con i più poveri. Due di loro furono sequestrati per cinque mesi. Uno
di questi, Orlando Yorio, denunciò a Verbitsky di essere stato
consegnato da Bergoglio allo stesso Massera e sono molte le
testimonianze sull’amicizia tra il nuovo papa e l’Ammiraglio piduista:
«Bergoglio se ne lavò le mani. Non pensava che uscissi vivo». Per Emilio
Mignone, una delle più cristalline figure di difensore dei diritti
umani in Argentina, che conferma i dettagli della denuncia di Verbitsky,
e autore di uno dei testi tuttora fondamentali su chiesa e dittatura,
Bergoglio «è uno di quei pastori che hanno consegnato le loro
pecorelle». Le accuse di Verbitsky sono confermate anche da Olga Wornat,
il lavoro della quale è in genere suffragato da un numero enorme di
testimonianze.
Dopo la dittatura, anche negli ultimi anni, Bergoglio fu chiamato a
testimoniare in molteplici circostanze in inchieste e processi per
violazioni di diritti umani. Non ha mai parlato. Chi scrive ha
personalmente verificato in queste ore il suo silenzio con il PM che
indagava sul sequestro di una giovane incinta. Se quelli indicati sono
precedenti che ne fanno un complice pieno della dittatura sta al lettore
deciderlo. A chi scrive il puntare il dito sembra troppo e
l’assoluzione troppo poco. Bergoglio non fu né un Aramburu né un Von
Wernich ma neanche un padre Mujíca, uno dei sacerdoti assassinati. Sta
in una zona grigia, un quarantenne in ascesa, con un ruolo importante ma
non ancora di spicco, in una chiesa argentina dove si mandava ad
uccidere o si rischiava di essere uccisi.
Bergoglio era dal 1973 provinciale dei gesuiti. In un ordine
tradizionalmente progressista, e condotto da Padre Arrupe, il papa nero
che nei primi anni ‘80 si scontrava e veniva ridotto all’impotenza da
Giovanni Paolo II, è Bergoglio ad essere emarginato dai suoi. Per Luís
“Perico” Pérez Aguirre, prestigioso gesuita uruguayano, fondatore del
SERPAJ e consigliere dell’ONU in materia di diritti umani, che chi
scrive ha avuto occasione di conoscere e ammirare, prima della morte nel
2000, in una testimonianza raccolta da Olga Wornat: «Bergoglio [che si
era da tempo votato ad una relazione di obbedienza asosluta a Karol
Wojtyla] stravolse completamente il segno della Compagnia da
progressista in conservatrice e retrograda. Ho rotto ogni rapporto con
lui, soprattutto rispetto al suo agire durante la dittatura».
Il cambiamento sarà strutturale, nella retrograda Chiesa argentina la
Compagnia non fa più eccezione. Lui però guarda oltre ed è al di fuori
del suo ordine che saprà tornare in pista. Formalmente ancora gesuita,
dal 1979 in avanti si muoverà al di fuori. Della sua carriera Bergoglio
deve molto al successore di Primatesta, Antonio Quarracino. Differente
da Primatesta, e con un lontano passato progressista concluso già alla
fine degli anni ’60, Quarracino era tutt’altro che un santo.
L’ostentazione della ricchezza, basta pensare ad Aramburu, è un altro
tratto delle gerarchie argentine dal quale il nuovo papa è completamente
esente. Scegliere come ausiliare Bergoglio, quel vescovo semplice e
irreprensibile, era per Quarracino una maniera di coprirsi il fianco da
tante critiche.
Non si comprometteva Bergoglio con le feste che frequentava il
Cardinal Quarracino nella casa di Olivos e dove s’intratteneva come un
Apicella qualsiasi suonando la chitarra per Carlos Menem. Erano altri
anni oscuri per l’Argentina, quelli del menemismo. Molte cose
distanziavano i due prelati. Il primate aveva interessi mondani,
l’ausiliare faceva il vescovo, centrando la propria missione nella
formazione del clero e nell’attenzione al popolo delle villa miseria che
circondano tutt’ora il gran Buenos Aires. Bergoglio seppe mantenere con
Quarracino relazioni cordiali ma distanti. Forse era l’unica maniera di
tener fede sia ai voti di castità e povertà che a quello di obbedienza.
Fu in questa relazione tra due prelati così diversi che Bergoglio si
costruì un ruolo di punto di riferimento per una nuova generazione di
sacerdoti argentini anche quando, primo gesuita della storia, succederà a
questo nel 1998. Sulle sue spalle cadrà di nuovo il peso di riscattare
una chiesa cattolica dal passato tenebroso. Emergeranno però anche le
caratteristiche che oggi lo portano al soglio pontificio: la mano di
ferro con la quale ha condotto la chiesa argentina (e che ne fa uno
spauracchio ora per la curia romana), la marcata preoccupazione sociale,
la critica alla politica. Soprattutto Bergoglio –ed è un punto di forza
rilevante- risulta straordinariamente interessato alla vita del suo
clero. Si preoccupa per le necessità materiali, è presente, è vicino e
accessibile. Perfino Clelia Luro (testimonianza a chi scrive), la
terribile compagna del vescovo Jerónimo Podestá, salva solo Bergoglio di
tutto il clero argentino che aveva isolato il prelato che aveva deciso
di combattere la battaglia per la fine del celibato. Bergoglio,
nonostante non condividesse la decisione del vescovo, che fu infine
ridotto allo stato laicale, gli rimase vicino umanamente fino alla fine.
Il passato ritorna però e il profilo di Bergoglio resta basso. Tenta
di difendere se stesso e la chiesa argentina. In particolare per
quest’ultima c’è poco da difendere. Primatesta e Aramburu avevano eretto
un muro di inaccessibilità ai familiari delle vittime che neanche in
chiesa –al contrario di quanto era successo con la Vicaría della
Solidaridad a Santiago del Cile- avevano trovato sicurezza. Una macchia
indelebile che continua a distanziare molti fedeli dalla Chiesa
cattolica. Lui ha scelto di denunciare in maniera generica e spesso
netta i peccati (con una posizione non lontana dalla teoria dei due
demoni) ma di salvare i peccatori, sia quando è stato chiamato a
testimoniare in tribunale, sia quando ha scritto o ha preso decisioni
politiche. Quando nel 2007 fu chiamato a prendere provvedimenti nei
confronti di Christian Von Wernich, il sacerdote condannato
all’ergastolo per avere sequestrato personalmente 42 persone,
assassinate 7 e torturate 32, espresse parole forti ma non comminò
alcuna sanzione come tutto il mondo democratico e dei diritti umani
chiedeva. Von Wernich sta oggi scontando l’ergastolo ma è a tutti gli
effetti un sacerdote e nessun provvedimento disciplinare è stato preso
nei confronti del carnefice che le vittime descrivono come un vero
demonio.
Ma chi è davvero Jorge Bergoglio, Papa Francesco I che comincia il
suo cammino di Vescovo di Roma con un passato così pesante? Integralista
di destra mette i poveri al centro del suo apostolato. Vicino alla
dittatura militare rende omaggio ai sacerdoti assassinati da questi
ultimi. Ha fatto una carriera tutta controcorrente, conservatore in un
ordine considerato progressista, primo gesuita primate argentino, primo
gesuita papa, primo papa latinoamericano. Nemico dei progressisti e di
tutti i politici (li detesta e non lo manda a dire, quasi grillino in
questo) e lontano dagli organismi per i diritti umani, esige dallo Stato
educazione cattolica ed è contrario ai contraccettivi, ma nessuno può
accusarlo di non onorare i propri voti, in particolare quello di
povertà. Chi scrive sconsiglia di incastrarlo nella figura a lui aliena
di sacerdote proveniente da una “chiesa giovane” e varie altre
semplificazioni giornalistiche che domattina troveremo. Viene da una
chiesa strutturata e complessa e da una realtà metropolitana dura.
L’associazione con Medellin poi è del tutto fuori luogo. L’attenzione di
Bergoglio per i poveri è di stampo infaticabilmente caritatevole, mai
politico. Tuttavia bisogna rifuggere anche l’interpretazione tenebrosa
del complice della dittatura tout court, come quella di una papa scelto
per fermare il cambiamento in America. Nonostante sia una figura ben
diversa da quella di Ratzinger, è un papa con tratti di forte continuità
soprattutto con Karol Wojtyla. Questo combatté e vinse la battaglia con
la teologia della liberazione senza comprendere le ragioni di questa,
per perdere poi quella con le chiese protestanti. È lì che va atteso fin
dal prossimo viaggio in Brasile il nuovo papa.
A Buenos Aires, dicono gli amici ma senza che alcun detrattore lo
contesti, sparisce ogni volta che può per infilarsi in orfanotrofi,
carceri, ospedali a compiere il suo apostolato. Chissà se potrà farlo
anche a Roma.
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