martedì 29 dicembre 2020

Veramente pensate di capire i poeti?

 La risposta è NO. Comunque, buongiorno!

Ultimo post dell'anno con una poesia tratta dalla raccolta di poesie 📚 Veramente pensate di capire i poeti? 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 Promo Natale 2020 💥.

P.S. La promozione prosegue fino al 10 gennaio. 😎📚😉

Foto di copertina: Deborah Bencini


La casualità è estremamente puntuale con i poeti, ma loro trovano sempre un modo per sorprenderla 


E’ una afosa domenica
mattina
di agosto.
Sono disteso
sul letto
a scrivere questa poesia.
Poco lontano da
me
mio figlio
guarda
il suo cartone animato
preferito, Scooby-Doo.
È uno dei pochi momenti
in cui mi sento sereno.
Come quando all’imbrunire
passeggio
sulla battigia,
o all’alba
imbocco un sentiero
di montagna.

La serenità
dobbiamo
trovarla
dentro di noi.
Ed è così
buffo che
le persone
a cui affidi
il tuo cuore
siano
poi
i tuoi
carnefici,
per questo
dobbiamo restare più tempo
da soli.

Stronzo,
bipolare,
perennemente insoddisfatto,
narcisista patologico.
Io sono tutto
questo - così mi avete definito - e
molto di più.
Ma dico,
pure Hitler
ha deciso
quando morire.
Perché io devo
morire per
colpa della decisione
di una persona?
Ma quando scrivo
non mi
sento,
incredibilmente,
depresso né ansioso.
Dovrei scrivere
di più, molto di più.

Io non ho mai
capito
la società.
Funziona,
sicuramente.
Ma per quelli come me
la comprensione non
è prevista.
I poeti sono
dei trogloditi
che scrivono
con il cuore
e questa poesia
dovrebbe
durare
all’infinito.
Non sono,
incredibilmente,
depresso né ansioso.

Vedo un mucchio
di persone
che hanno detto,
dissero,
di amarmi
e ora
sono una
piccola
barca
all’orizzonte
del mare che
si chiama addio.

La società
moderna
dovrebbe proteggerci.
In realtà
ci fa
odiare il vicino
di casa
e si sta fottendo
tutto il pianeta.
Il poeta
invece
dovrebbe
avere provato
più donne
che antidepressivi.
Altrimenti
la sua
produzione
risulterebbe troppo
sciapa
e insulsa.

Al giorno
d’oggi
siamo
tutti
dei burattini
in mano
alla fretta
di vivere.
L’oscenità
se è arte
non può essere
oscena.
Sarà stimolante
e produttiva
intellettualmente.
Ma la vita
che ci fanno
vivere è
solamente
oscena.
Viviamo
senza
umanità.
Per questo
frequento
poco le persone
e ancora meno
le guardo
in faccia.
Avremmo
tutti bisogno
che un angelo
saltasse
fuori
da dietro
il divano
e ci abbracciasse
follemente.
Ci stanno distruggendo e
tra poco
non saremo
più utili
neanche
a noi
stessi.
Ma così è,
le cerco
comunque
la tranquillità e
la serenità.
E quando le cerco
non sono, incredibilmente,
depresso né ansioso.
Solitamente
la casualità
è sempre molto
puntuale
con i poeti
e la mia
vita ha
il sapore
indelebile
birra scura.

lunedì 21 dicembre 2020

Treno del sud

Buongiorno.
Vi ripropongo il racconto - versione completa - che ho postato lo scorso sabato, tratto da 📚 Racconti americani 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 PromoNatale2020 💥.


Era un’assolata giornata di maggio, l’estate ormai alle porte, nonostante fossero solo le otto meno dieci del mattino il vento aveva già iniziato a seccargli la pelle. Ma non era infastidito, anzi. Capì di stare bene dal fatto che il suo animo era sereno come quella giornata. Fantastico quando l’uomo e la natura sono in sintonia.
Doveva andare da Austin, Texas ad Albuquerque, New Mexico. Ma aveva in testa una mezza idea di passare pure per Phoenix, Arizona e magari sarebbe arrivato fino a San Diego in California. In un certo senso, e con tempistiche e itinerario assolutamente adattati alle sue esigenze e comodità, stava ripercorrendo la rotta che un secolo prima avevano percorso gli Okies, con la semplice differenza che quei poveri disgraziati lasciarono le loro case e terre a causa della Dust Bowl ma anche per la crisi del ’29 e delle politiche poco lungimiranti del governo. Mentre lui, viaggiava per il gusto di viaggiare. Archibald non era certo sporco e insulso come un maiale, come quei disperati che scapparono dall’Oklahoma. Lui voleva semplicemente viaggiare, perché si sentiva lui il treno. Il mondo lo avrebbe semplicemente visto passare.
Una volta arrivato ad Albuquerque sarebbe andato un po’ in giro nella natura selvaggia. Voleva vedere un paio di vette al di sopra dei tremila metri, e magari qualche lepre fischiante e le tanto schive marmotte. Pecore selvatiche delle Montagne Rocciose, alci, cervi, capre delle nevi, piccoli roditori e svariati tipi di uccelli, con un po’ di fortuna avrebbe visto pure un orso nero e forse un puma. Ma anche la flora gli interessava vedere, camminando nella natura selvaggia avrebbe visto gli alberi comunemente presenti in New Mexico, come lo spruce, i pioppi tremuli e gli abeti.
Disegno di copertina: Andrea Denegri

Il treno arrivò puntuale, Archibald salì sulla terza carrozza e occupò il suo posto. Il treno ripartì quasi subito. Archibald iniziò ad osservare il paesaggio che scorreva veloce ai suoi occhi.
Dopo pochi minuti si sedette vicino a lui un signore sui sessant’anni circa, dalla carnagione molto chiara. Vestito con un paio di jeans e una camicia a quadri, molto elegante anche se apparentemente nervoso ma forse era meglio dire stizzito. Sembrava elettrico e infastidito. Archibald si sforzò di non commettere nessun errore nel restare solo con la propria solitudine e silenzio, non voleva per nessun motivo che quel signore “particolare” attaccasse bottone. Archibald provò a cercare un libro nella borsa a mano, si ricordava di avere con sé Passaggio a Nord-Ovest e magari una qualche rivista ma le sue ricerche furono vane. Ora quello elettrico e infastidito era lui. Si sentiva un po’ stupido per quello che stava provando. Tutto sommato, stava avendo a che fare con un essere umano. Si chiese, perché essere così affascinato dalla natura e dalle sue bellezze e non voler parlare con un essere umano? Forse perché la natura si lascia vivere, mentre gli uomini vogliono vivere.
Il silenzio si interruppe improvvisamente, il passeggero guardò Archibald e lo salutò con un cenno della testa. Archibald disse -Salve- con un filo di voce.
-Come va?-
-Bene, grazie e lei?-
-Bene. E’ in giro per lavoro?-
-No, viaggio per passione-
-Beato lei. Io viaggio da parecchi anni per il nostro paese, soprattutto al sud, faccio parte di una organizzazione fondata a fine degli anni cinquanta, vogliamo portare un cambiamento culturale negli Stati Uniti, lottiamo per la nostra amata nazione. Siamo nati in Virginia, ma siamo sempre stati molto attivi, soprattutto al sud, dove c’è più bisogno di un nuovo ordine sociale ma da come stanno le cose, non è che al nord le cose vadano meglio, anzi. E probabilmente il discorso è adatto anche per l’ovest e l’est. Abbiamo attraversato momenti veramente difficili ma ora, con il nuovo corso politico, le cose dovrebbero cambiare. Noi siamo pronti e spero sia pronta anche l’America. Finalmente Dio ha ascoltato le nostre preghiere. E hanno poco da ridire quelle quattro star del cinema e della tv, oppure il paladino dei diritti umani, stiamo tornando un Grande Paese!-
Archibald non capì bene perché la vita a volte si presenta così sconclusionata. Cosa avrebbe dovuto dire a quel tizio? Capì il significato di quel delirio nazista, tanto da non doversi ripetere mentalmente il nome dei protagonisti del discorso del suo interlocutore, ma cosa avrebbe dovuto rispondere? Che era un coglione, xenofobo e razzista? Fuori dal mondo e dai tempi moderni? Avrebbe dovuto dargli del pazzo? Archibald, che era partito per quel viaggio sperando di perdersi nella bellezza della natura, stava drammaticamente naufragando di fronte all’assurdità umana. Guardò il suo interlocutore, gli sembrò di fare anche un mezzo sorrisetto, e non riuscì a dire nulla. In silenzio di fronte alla stupidità umana. Non seppe dire nulla. Raccolse velocemente le sue cose e tanto velocemente si alzò in direzione della porta della carrozza. In pochi secondi percorse la distanza che lo divideva dall’altra carrozza, mentre la apriva sentì quel signore sulla sessantina con la camicia a quadri dire -Non dica che non la avevo avvisata, il nuovo ordine mondiale sta cambiando. L’ America sta cambiando e di conseguenza il mondo.-
Archibald non sentì le ultime parole, aveva già chiuso la porta. Respirò profondamente e cercò con lo sguardo un posto libero e isolato. Lo trovò a metà carrozza, a qualche posto da un ragazzo orientale accompagnato ad una afroamericana. Ci mise un po’ a tranquillizzarsi ma alla fine raggiunse il suo obiettivo. Ora lo aspettavano solo Albuquerque e il New Mexico e poi forse Phoenix e la California. Aveva un disperato bisogno della natura selvaggia e delle Montagne Rocciose. Non voleva avere più angosce, né sentirsi più in colpa per la stupidità altrui. Non tutto nella vita può essere determinato dagli uomini, l’unica cosa che si disse fu che bisognerebbe imparare ad aspettare e non avere sempre un compito. Bisognerebbe imparare ad oziare, che non significa essere passivi. Ma avere un rapporto più rilassato con la vita, con il mondo.

giovedì 17 dicembre 2020

In quanti siamo rimasti in questo caffè

Buongiorno.
Vi ripropongo una poesia, che ho postato ieri, tratta da 📚 In quanti siamo rimasti in questo caffè 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 PromoNatale2020 💥.


Hai presente
quelle giornate
estive
in cui te ne
stai
all’ombra di un albero
e osservi il sole?
Le cicale ti fanno
compagnia con
il loro frinìo
e ti senti
sereno,
immerso
nella natura.
Ogni tanto una brezza
di vento
ti solletica
la faccia
e una
formica
si arrampica
sulla tua
ciabatta estiva.
E ti senti
in sintonia
con la
natura
e il
mondo.
Osservi il tuo
cane
respirare dolcemente
mentre ti guarda
con un occhio chiuso
e uno aperto.
Sei libero da ogni
tristezza e difficoltà.
Pensi, veramente
di essere felice. 

Foto di copertina: Alessio Bianco
Hai presente quando 
ti senti in sintonia 
con la 
natura 
e tutto il 
mondo? 
Beh, tu sei la mia natura e il mio mondo.

lunedì 14 dicembre 2020

L' uomo che piangeva in silenzio

Buongiorno.
Vi ripropongo il primo capitolo - versione completa - che ho postato lo scorso sabato, tratto da 📚 L' uomo che piangeva in silenzio 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 PromoNatale2020 💥.


Si trovava nella sua piccola casa in montagna, fuori era buio e dentro c’era una sola candela a illuminare un po’ l’ambiente. Ascoltava Long nights di Vedder e la chitarra lo accompagnava nei suoi pensieri. 
Sentì il bisogno, ma era quasi un comando che gli arrivava dal cuore, di alzarsi e aprire la porta. Entrò una grande nebbia, imponente e silenziosa. Pareva che tutta la nebbia del mondo fosse lì con lui a fargli compagnia, ce n’era ovunque. Sentiva la sua gola piena, a fatica respirava. Gli tornò in mente la bulimia di emozioni che lo prendeva in certi momenti. Non poteva fare altro che viverle tutte quelle emozioni, e con l’intensità massima. Tutto era amplificato, la paura, la non conoscenza di ciò che avrebbe vissuto, la sudorazione, la tachicardia. Si vergognava solo al pensare ciò che era costretto a vivere in quei momenti. 
La nebbia restò per un po’ a fargli compagnia, come sempre silenziosa e inquietante. Una compagnia di insicurezza e paura. La nebbia avvolgeva l’interno della casa, ma in realtà gli era nel cuore. Lui sudava e sentiva il cuore battergli forte e uscirgli dalla bocca. Era irrigidito, solo e indifeso. Faceva fatica a respirare. Chiuse gli occhi e sentì il sudore sulla dita delle mani e dietro al collo. Dopo un po’, forse erano passati soli pochi minuti o forse servì tutta la notte, la nebbia se ne uscì da sola. Non servì aprire la porta, lei sapeva cosa fare. Comandava lei. Lo abbandonò uscendo dalle fessure delle porte e delle finestre, dal camino e dalle condotte idrauliche. Pensò che quella nebbia era come l’arte, perché è l’arte che decide quando tu puoi scrivere, lei ti prende e ti attraversa e poi esce dalle tue mani. Lei ti prende, e tu, utero della letteratura, non puoi fare altro che aprirti e aspettare che arrivi l’erezione di parole, e non sai quanto durerà. Concluse che la letteratura e l’arte sono donne, perché se hai qualcosa di buono da dare, loro sicuramente lo apprezzeranno. Si era fatto molte volte questa domanda, ma da stupido non formulò mai una risposta adeguata. L’unica vera risposta era quella che aveva appena pensato. Prese il bicchiere di vino che, avvolto dalla nebbia, aveva dimenticato mezzo pieno. Ne bevve un sorso. Era frastornato, prima la nebbia e lo stato d’ansia, poi il ragionamento sulla letteratura e l’arte. Forse facevano parte di un unico grande ragionamento. Forse aveva solo bisogno di parlare a se stesso e capire che lui era quello che gli era appena successo. Così restìo al dialogo e a frequentare l’umanità, aveva finito per trascurare anche il dialogo con se stesso.

Foto di copertina: Daniela Martin

Si alzò, andò alla finestra. La luna illuminava la montagna. Improvvisamente sentì che quello che aveva appena vissuto aveva il suo naturale compimento. In certi momenti il pensiero del suicidio era diventato per lui quasi un rifugio, quasi un restare con se stesso. In pace e senza paura di abbandono. Il suicidio era lì, fedele amico, che lo aspettava. E gli apriva le braccia ogni volta che lui ne aveva bisogno. Perché un abbraccio fa sempre del bene, anche a uno che per forza di cose dovrà cagare chiodi, alla fine l’amore è la sola cosa che conta nella vita di un uomo e per lui quell’abbraccio era semplicemente amore. Ma non capiva perché aveva litigato con la vita, entrambi si erano traditi, in maniera diversa ma si erano traditi. Lui, però, non la aveva mai abbandonata, le era sempre rimasto vicino, perché in fondo la amava. Non si poteva dire altrettanto di lei, al primo vero problema lo aveva abbandonato, o almeno così credeva lui. E quel problema, seppur creato e voluto da lui, era anche il momento più difficile della sua vita. Era rimasto solo, o meglio, si era ritrovato solo. Questo non riusciva ad accettare, il fatto che lei, la vita, lo avesse abbandonato. Poi ripensò alla nebbia, all’ansia e all’insicurezza che gli aveva provocato, ma era stata lì con lui. Almeno questa volta la vita non lo aveva abbandonato, forse non lo aveva mai abbandonato. Lo faceva solo crescere. Così come la letteratura. 
Prima o poi sarebbe dovuto uscire da quei quattro muri, che ora aveva anche dubbi sulla loro esistenza. Forse quei quattro muri erano la sua mente. Era bello avere tanti dubbi, lo facevano sentire vivo. 
Finì di bere il vino, era un po’ aspro, o forse lo era lui. 

mercoledì 9 dicembre 2020

L'altruista

Buongiorno.
Vi ripropongo il racconto - versione completa - che ho postato lo scorso sabato, tratto da 📚 Se volessi essere disturbato 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 PromoNatale2020 💥.


Stavolta non cominciò per sbaglio. Decise con la sua testa di partire. Caricò lo zaino in auto, si ricordò di mettere anche gli scarponi da trekking e partì. Erano almeno due anni che non andava più in montagna a camminare. Si sentiva un po’ a disagio, non tanto per il fatto di andare in montagna da solo, ma perché le cose che una volta gli risultavano normali, vestirsi da montagna, preparare lo zaino e tutto quello che ne segue, ora le trovava quasi fuori luogo. Ma ormai aveva deciso, voleva ritrovarsi con se stesso o almeno con quello che era stato in passato. Appena salito in autostrada mise un po’ di musica, che gli servisse da sottofondo. Guardava fuori, la giornata prometteva bel tempo e le condizioni per andare in contro a quello che cercava c’erano tutte. Si sforzava d’essere tranquillo, ma tranquillo, in realtà, non lo era. Gli mancavano pure serenità e felicità. Erano ormai molti anni che il suo animo, una volta pieno di vitalità e gioia, era pervaso da frustrazioni, pensieri e poca, o quasi nulla, felicità. Come volevasi dimostrare, negli ultimi minuti si era molto innervosito, sembrava quasi che i brutti ricordi e pensieri lo stessero ad aspettare al varco, con una certa vendicatività. Gli tornarono in mente molte cose, alcune ormai dimenticate da tempo. Pensò al suo rapporto con i genitori, quasi da estranei. Non si erano mai capiti, vallo a sapere per colpa di chi, e dopo la nascita dei suoi due figli il legame era definitivamente andato a remengo. Ormai erano diventati i nonni dei suoi figli, il papà, cioè lui, era un elemento quasi insignificante nei rapporti nonni-nipote. Era come se lui fosse l’altruista che aveva ricevuto la vita dei suoi genitori e che poi, con i suoi spermatozoi, avesse creato le due creature che avevano dato vita al simposio nonni-nipoti. 
E poi pensò al suo lavoro. Chiaro, gli piaceva, ma anche lì i suoi rapporti erano freddi con tutti. Il suo capo, Luca, chiamato per nome da tutti tranne che da lui, restava sempre “il capo”, non gli andava proprio a genio. Era sempre freddo, almeno con lui, cortese e competente, per non parlare della disponibilità a collaborare ma non era mai riuscito a sentirlo veramente suo amico. Forse sbagliava proprio nel volerlo pensare come un amico. Forse non lo voleva neanche come amico. Come sia, alle cene aziendali era comunque sempre un po’ in disparte, mentre Luca, cioè il capo, chiacchierava e si divertiva con tutti. 
Quasi non pensò alla moglie, la loro mutua sopportazione stava a significare che la scintilla che dieci anni prima aveva fatto scoccare il fuoco ardente dell’amore, si era spenta dopo pochi minuti. Il loro era il tipico caso in cui la prosecuzione della specie aveva avuto la meglio sul gusto degli individui, tipico della società moderna. Come gli uomini delle caverne, si erano meramente accoppiati, e avevano pure accoppiato i loro conti in banca. Percorse tutta la strada con questi pensieri in testa, stava pian piano prendendo le distanze da tutte le persone con cui, in teoria, avrebbe dovuto avere dei solidi e veri legami. Forse solo i suoi due figli facevano eccezione. Ma non ne era tanto sicuro. 
Arrivò al parcheggio, lasciò l’auto al Rifugio Tolazzi e prese la mulattiera che lo avrebbe portato al segnavia 144. Anche durante la camminata i suoi pensieri non cambiarono rispetto a quelli che aveva in auto. Era semplicemente cambiato un po’ il suo umore. Si sentiva offeso e in credito con l’umanità. Pensò al fatto che c’erano delle persone che non volevano capirlo, perché evidentemente conveniva loro così. Altre ancora, proprio non ce la facevano a capirlo. Per non parlare di quelle che gli facevano apertamente la guerra. Evidentemente, ogni loro comportamento era studiato e pianificato per sfruttare la sua presenza a loro personalissimo tornaconto. Tutte posizioni di comodo. Ora sì che aveva delle certezze! La sua bontà, troppa; la sua professionalità, fuori discussione: il suo essere sempre discreto e mai invadente, evidentemente in questo mondo non andavano bene. Certi personaggi, certe facce, erano più di moda. Ma come diceva un ex comico, ora capopopolo, pensò al fatto che certe facce da culo dovrebbero starsene a casa. Nonostante non fosse più abituato a camminare in montagna e il fatto che dovette fermarsi un paio di volte per via del cuore in gola, impiegò poco più di un’ora per arrivare al Rifugio Lambertenghi Romanin. Si riteneva ancora in forma, anche perché il tempo ci mise del suo, nella rapida ascensione affrontò pioggia, sole, neve, grandine. Quasi pensò che anche il mondo, il vero suo mondo, quello fatto di albe e tramonti, di laghi e prati, ce l’avesse con lui. Ma riuscì a mettere in disparte questo suo astio nei confronti del mondo, il mondo degli altri e in cui lui era condannato a vivere, e pensò solo a sé. Si sedette su una panchina, usata durante i week end dalle sorridenti famiglie che arrivavano al rifugio a farsi le foto da riproporre poi negli anni futuri, si tolse lo zaino e osservò: la montagna non era cambiata, il Coglians era sempre lì, maestoso e immobile, il paesaggio tutt’attorno era magnificamente soave. I prati erano di un verde intensissimo e riuscì a scorgere anche un paio di marmotte. Ora sapeva perché era andato lì, voleva il silenzio per potersi dire che stava bene in solitudine, per ritrovare i paesaggi che un tempo gli erano famigliari. Passò un bellissimo pomeriggio, un po’ disteso sulle rocce vicine al lago e un po’ sul nevaio. Appena il sole tramontò, si rifugiò nel sacco a pelo. Prese quasi di scatto la sua vecchia agendina, quella che portava in tutti i suoi viaggi ma che da anni, ormai, non usava più, frugò nello zaino e trovò una penna, quella della banca. Chiuse gli occhi, respirò profondamente, sentiva il cuore battergli forte, questo lo mise un po’ in imbarazzo e gli fece fare un sorrisetto sornione. 
Attaccò a scrivere. 

Foto di copertina: Daniela Martin

Sono al rifugio Lambertenghi Romanin, confine Italia-Austria, alle pendici del monte Coglians e subito sopra il lago Volaia. E' stata una giornata strana. Il tempo ha cambiato mille volte umore, salendo ho dovuto affrontare un vento fastidioso che mitigava in parte il sole in granforma. Poi, tutto ad un tratto, neve, pioggia, grandine, si sono alternati quasi ad intervalli regolari. Finalmente alle cinque gli Dei hanno deciso che poteva bastare e che il tramonto avrebbe portato tranquillità a tutti, uomini, animali, vento, acqua e neve. Tutti dobbiamo riposare. Anche la stupidità e i meccanismi assurdi che governano il mondo hanno bisogno di rigenerarsi. 

Guardo fuori, ormai è buio. La notte è bella perché puoi vedere solo i profili delle cose e anche delle persone. Così non ti devi concentrare per capirle, puoi passare oltre e immaginare, magari quello che non sono.

venerdì 4 dicembre 2020

E noi, semplici viaggiatori

Buongiorno.

Vi ripropongo la poesia che ho postato ad inizio settimana, è tratta dalla raccolta 📚 La fatica di non pensare 📚, libro che fa parte della #PromoNatale2020. Promozione che vale solo se acquistate i libri direttamente da me. Volete qualche info in più? Eccole: 💥 PromoNatale2020 💥.

La sera di Baires 
arriva calma e serena. 

L’aria è pulita e 
il freddo 
si impossessa di noi 
con una certa grazia 
delicata. 

La modernità si confonde 
con lo stile coloniale. 

Buffe case 
colorate 
fanno fare ai turisti 
foto 
dove appaiono 
sorridenti e 
felici di essere lì. 

E noi, semplici viaggiatori, 
guardiamo il porto 
e più in là, il mare. 

E pensiamo alle strade 
che scavano nel cuore 
dell’Argentina. 
E ci conducono, o ci portano, o ci guidano… 
in splendidi villaggi, 
con una pizzetta in centro 
tutta bianca 
buona per le foto di noi turisti, 
o viaggiatori, dipende.