Stavolta non cominciò per sbaglio. Decise con la sua testa di partire. Caricò lo zaino in auto, si ricordò di mettere anche gli scarponi da trekking e partì. Erano almeno due anni che non andava più in montagna a camminare. Si sentiva un po’ a disagio, non tanto per il fatto di andare in montagna da solo, ma perché le cose che una volta gli risultavano normali, vestirsi da montagna, preparare lo zaino e tutto quello che ne segue, ora le trovava quasi fuori luogo. Ma ormai aveva deciso, voleva ritrovarsi con se stesso o almeno con quello che era stato in passato. Appena salito in autostrada mise un po’ di musica, che gli servisse da sottofondo. Guardava fuori, la giornata prometteva bel tempo e le condizioni per andare in contro a quello che cercava c’erano tutte. Si sforzava d’essere tranquillo, ma tranquillo, in realtà, non lo era. Gli mancavano pure serenità e felicità. Erano ormai molti anni che il suo animo, una volta pieno di vitalità e gioia, era pervaso da frustrazioni, pensieri e poca, o quasi nulla, felicità. Come volevasi dimostrare, negli ultimi minuti si era molto innervosito, sembrava quasi che i brutti ricordi e pensieri lo stessero ad aspettare al varco, con una certa vendicatività. Gli tornarono in mente molte cose, alcune ormai dimenticate da tempo. Pensò al suo rapporto con i genitori, quasi da estranei. Non si erano mai capiti, vallo a sapere per colpa di chi, e dopo la nascita dei suoi due figli il legame era definitivamente andato a remengo. Ormai erano diventati i nonni dei suoi figli, il papà, cioè lui, era un elemento quasi insignificante nei rapporti nonni-nipote. Era come se lui fosse l’altruista che aveva ricevuto la vita dei suoi genitori e che poi, con i suoi spermatozoi, avesse creato le due creature che avevano dato vita al simposio nonni-nipoti.
E poi pensò al suo lavoro. Chiaro, gli piaceva, ma anche lì i suoi rapporti erano freddi con tutti. Il suo capo, Luca, chiamato per nome da tutti tranne che da lui, restava sempre “il capo”, non gli andava proprio a genio. Era sempre freddo, almeno con lui, cortese e competente, per non parlare della disponibilità a collaborare ma non era mai riuscito a sentirlo veramente suo amico. Forse sbagliava proprio nel volerlo pensare come un amico. Forse non lo voleva neanche come amico. Come sia, alle cene aziendali era comunque sempre un po’ in disparte, mentre Luca, cioè il capo, chiacchierava e si divertiva con tutti.
Quasi non pensò alla moglie, la loro mutua sopportazione stava a significare che la scintilla che dieci anni prima aveva fatto scoccare il fuoco ardente dell’amore, si era spenta dopo pochi minuti. Il loro era il tipico caso in cui la prosecuzione della specie aveva avuto la meglio sul gusto degli individui, tipico della società moderna. Come gli uomini delle caverne, si erano meramente accoppiati, e avevano pure accoppiato i loro conti in banca. Percorse tutta la strada con questi pensieri in testa, stava pian piano prendendo le distanze da tutte le persone con cui, in teoria, avrebbe dovuto avere dei solidi e veri legami. Forse solo i suoi due figli facevano eccezione. Ma non ne era tanto sicuro.
Arrivò al parcheggio, lasciò l’auto al Rifugio Tolazzi e prese la mulattiera che lo avrebbe portato al segnavia 144. Anche durante la camminata i suoi pensieri non cambiarono rispetto a quelli che aveva in auto. Era semplicemente cambiato un po’ il suo umore. Si sentiva offeso e in credito con l’umanità. Pensò al fatto che c’erano delle persone che non volevano capirlo, perché evidentemente conveniva loro così. Altre ancora, proprio non ce la facevano a capirlo. Per non parlare di quelle che gli facevano apertamente la guerra. Evidentemente, ogni loro comportamento era studiato e pianificato per sfruttare la sua presenza a loro personalissimo tornaconto. Tutte posizioni di comodo. Ora sì che aveva delle certezze! La sua bontà, troppa; la sua professionalità, fuori discussione: il suo essere sempre discreto e mai invadente, evidentemente in questo mondo non andavano bene. Certi personaggi, certe facce, erano più di moda. Ma come diceva un ex comico, ora capopopolo, pensò al fatto che certe facce da culo dovrebbero starsene a casa. Nonostante non fosse più abituato a camminare in montagna e il fatto che dovette fermarsi un paio di volte per via del cuore in gola, impiegò poco più di un’ora per arrivare al Rifugio Lambertenghi Romanin. Si riteneva ancora in forma, anche perché il tempo ci mise del suo, nella rapida ascensione affrontò pioggia, sole, neve, grandine. Quasi pensò che anche il mondo, il vero suo mondo, quello fatto di albe e tramonti, di laghi e prati, ce l’avesse con lui. Ma riuscì a mettere in disparte questo suo astio nei confronti del mondo, il mondo degli altri e in cui lui era condannato a vivere, e pensò solo a sé. Si sedette su una panchina, usata durante i week end dalle sorridenti famiglie che arrivavano al rifugio a farsi le foto da riproporre poi negli anni futuri, si tolse lo zaino e osservò: la montagna non era cambiata, il Coglians era sempre lì, maestoso e immobile, il paesaggio tutt’attorno era magnificamente soave. I prati erano di un verde intensissimo e riuscì a scorgere anche un paio di marmotte. Ora sapeva perché era andato lì, voleva il silenzio per potersi dire che stava bene in solitudine, per ritrovare i paesaggi che un tempo gli erano famigliari. Passò un bellissimo pomeriggio, un po’ disteso sulle rocce vicine al lago e un po’ sul nevaio. Appena il sole tramontò, si rifugiò nel sacco a pelo. Prese quasi di scatto la sua vecchia agendina, quella che portava in tutti i suoi viaggi ma che da anni, ormai, non usava più, frugò nello zaino e trovò una penna, quella della banca. Chiuse gli occhi, respirò profondamente, sentiva il cuore battergli forte, questo lo mise un po’ in imbarazzo e gli fece fare un sorrisetto sornione.
Attaccò a scrivere.
Foto di copertina: Daniela Martin |
Sono al rifugio Lambertenghi Romanin, confine Italia-Austria, alle pendici del monte Coglians e subito sopra il lago Volaia. E' stata una giornata strana. Il tempo ha cambiato mille volte umore, salendo ho dovuto affrontare un vento fastidioso che mitigava in parte il sole in granforma. Poi, tutto ad un tratto, neve, pioggia, grandine, si sono alternati quasi ad intervalli regolari. Finalmente alle cinque gli Dei hanno deciso che poteva bastare e che il tramonto avrebbe portato tranquillità a tutti, uomini, animali, vento, acqua e neve. Tutti dobbiamo riposare. Anche la stupidità e i meccanismi assurdi che governano il mondo hanno bisogno di rigenerarsi.
Guardo fuori, ormai è buio. La notte è bella perché puoi vedere solo i profili delle cose e anche delle persone. Così non ti devi concentrare per capirle, puoi passare oltre e immaginare, magari quello che non sono.
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