mercoledì 30 agosto 2017

Stanco, tired, fatigué, cansado, apnicis...

L'ultimo è in lettone. Mi piace la traduzione.
Ebbene, sì. Sono stanco e "leggermente" ansioso e pensieroso. Cosa c'è di strano? niente, sono sempre così. Ma questa volta faccio un po' più di fatica a sopportare il tutto. Quindi perderò, l'ho già perso in realtà, un po' il ritmo anche nel blog. Niente, poesie, racconti, romanzi, niente America e niente sport.
Arriva settembre e magari mi torna un po' di adrenalina, anche perché è in uscita la mia raccolta di poesie e avrò molti impegni letterari, oltre che con il basket. 
A presto.
Mauro



venerdì 25 agosto 2017

News dal Summer Reading 2017

Un po' di tempo fa vi avevo parlato di un contest per scrittori, Summer Reading 2017, promosso dei mitici amici di mebook, il social per scrittori ed editori. Con varie sezioni: poesia, racconti, video. Per tutte le info, vi ricordo di cliccare qui: associazionefahrenheit451.it/iscrizioneconcorso.
La novità è che, vista la grande adesione, gli organizzatori hanno deciso di premiare anche i secondi classificati per ogni sezione che riceveranno 150 euro! I primi classificati di ogni sezione tra poesia, racconto e canzone riceveranno 500 euro! Direi non male, scrivete, scrivete, scrivete!


mercoledì 23 agosto 2017

La maggior parte dei manuali di scrittura sono pieni di cazzate

Oggi vi consiglio di leggere un articolo, completo lo trovate qui: lastampa.it/manualediscrittura, che vi potrebbe dare qualche consiglio nel caso vogliate cimentarvi nella scrittura di un romanzo. 
Buona lettura!
P.S. Indovinate chi ha detto la frase che dà il titolo al post...

Che sia cartaceo oppure elettronico, il libro si addice all’estate, gli smartphone in spiaggia non hanno ancora soppiantato la classica lettura di libri, riviste o fumetti. 
Ma se uno il libro (o il fumetto) lo volesse scrivere? Non mancano manuali di scrittura creativa, in primis «On Writing» di Stephen King (Frassinelli), che però è uno strano, anomalo e affascinante mix di libro di testo e autobiografia sul suo rapporto con la scrittura (non a caso nell’introduzione scrive «la maggior parte dei manuali di scrittura creativa sono pieni di cazzate»). 
...
Decisamente pratico, e al tempo stesso scritto in maniera molto brillante è il Manuale di scrittura di Raoul Melotto e Gianluca Morozzi (Odoya), appena uscito.  
Il primo è un editor, il secondo uno scrittore con (al momento) 24 libri pubblicati. Non a caso il sottotiolo è Nozioni di base e sordidi trucchi del mestiere. 
«Il nostro manuale non ha paura di sporcarsi le mani e di rivelare luridi segreti» ci dice Morozzi. «“Ho letto un manuale che dava suggerimenti tipo ‘indossa un cappello da scrittore prima di iniziare il romanzo’ o ‘accendi una candela quando cominci a scrivere’. Bene, noi amiamo l’idea della scrittura come suggestione e magia, ma siccome scriviamo veramente, e da anni, senza cappelli da scrittore, sappiamo anche che a volte mettere in fila le parole è un po’ come tirare di boxe, è una lotta con la pagina bianca. E spieghiamo quindi tutti i sordidi trucchi per sconfiggerla, la pagina bianca».  
Un libro che cita anche i fumetti, le canzoni (in primis Bruce Springsteen che nelle sue canzoni racconta storie), le attualmente popolarissime serie tv, come forme della narrazione.  
«Peter David è uno dei miei autori preferiti nel campo del fumetto, e ovviamente il suo manuale su come scrivere fumetti me lo sono letto e riletto” spiega Morozzi, che è un grande appassionato di comics. “E alla fine, se ci sono cose che sono applicabili solo alla narrativa in senso stretto, altre si possono spiegare portando ad esempio, appunto, fumetti, film, serie tv. O anche dischi»  
Nel vostro libro citate spesso anche Stephen King, però è piuttosto diverso dal suo On Writing.  «Credo sia un manuale abbastanza specifico e per aspiranti scrittori, a differenza di On Writing che ha una lunga parte iniziale autobiografica e molto piacevole da leggere, più un’altra finale altrettanto autobiografica. Ma non mi precludo nessun lettore. E magari qualcuno che adesso legge in spiaggia il Manuale la prossima estate starà invece correggendo le bozze del suo primo romanzo”? 

lunedì 21 agosto 2017

Qualcosa da leggere di interessante

Buona settimana, magari per molti di rientro lavorativo.
Oggi non scriverò nulla di nuovo ma vi invito a leggere un po' di post, non tutti ovviamente, che ho scritto da giugno ad oggi e che parlano, in varie maniere, degli States. Magari di uno scrittore, o dei Simpson, o di luoghi abbandonati.
Non serve leggerli tutti, magari solo alcuni. Ma leggete, vi prego! 😉

  1. Per conoscere un po' meglio Carver e l'importanza dei racconti per ogni scrittore: 17AGO sul perchè scrivere racconti.
  2. Per conoscere il mio scrittore (e poeta) preferito, Bukowski: 14AGO Ricordandolo.
  3. Una curiosa storia americana, i bigotti non la leggano! 11AGO Una storia americana.
  4. In occasione del compleanno di Melville, indubbiamente uno dei padri della letteratura americana: 1°AGO Un compleanno baleniero.
  5. Steinbeck e la sua esperienza nella guerra in Vietnam: 22LUG Steinbeck e il Vietnam.
  6. Il compleanno di Hemingway, non serve dire altro: 21LUG Auguri vecchio mio.
  7. Come Homer Simpson festeggia il giorno dell'Indipendenza... 4LUG Homer e il 4 luglio.
  8. Una storia di abbandono nell'America più profonda: 2LUG Una storia americana: Bodie.
  9. Un mio racconto su un attore molto famoso: 27GIU Quell'aula in fondo al salone.
  10. Un piccola signora, che però... 14GIU La Signora Beecher Stowe e lo zio Tom.
  11. Per gli amanti del Re del Rock: 4GIU L'aereo di Elvis 
    Immagine presa dal web

giovedì 17 agosto 2017

Sul perché scrivere racconti

Premetto che non sono io a spiegarvi il perché ma Carver. Quindi se lo dice lui...
L'articolo che riporto è completo, troppo interessante per fare dei tagli, e l'ho trovato qui: www.ilcartello.eu/iraccontidicarver. Buona lettura!

I racconti di Raymond Carver lo caratterizzano come grande narratore della provincia americana.
Nei suoi Memoirs, pubblicati nel 1942, Sherwood Anderson scrive:
«A volte ho perfino pensato che la forma del romanzo non si addica allo scrittore americano, che è una forma importata. Quel che ci vuole è una nuova elasticità; e in Winesburg ne ho fatto la forma mia propria. Erano storie indipendenti ma tutte di vite in qualche modo collegate».
Lo scrittore, nella sua raccolta di racconti Winesburg, Ohio (1919), racconta i fallimenti e le aspirazioni dei pochi abitanti di una città di provincia americana; il racconto breve è per lui lo strumento con cui costruire una narrazione concentrata, carica di tensione e priva di retorica o moralismi. I personaggi sono caratterizzati dalle loro azioni, non dalle descrizioni dell’autore, e i silenzi sono importanti tanto quanto i dialoghi.
Per Sherwood Anderson, come per Raymond Carver, il racconto breve è lo strumento con cui costruire una narrazione concentrata
Le parole di Anderson mi hanno rimandato subito a Raymond Carver, uno dei maestri contemporanei del racconto breve (che conosciamo bene vista la nostra raccolta Trenta racconti italiani), che più di mezzo secolo dopo dichiara:
“Durante questi feroci anni di paternità, di solito non avevo il tempo, o l’animo, di pensare di lavorare a qualcosa di molto lungo. Le circostanze della mia vita […] non me lo permettevano. Le circostanze della mia vita con questi bambini imponevano qualcos’altro. Dicevano che se volevo scrivere qualcosa, e portarla a termine, e se volevo essere soddisfatto per un lavoro ultimato, dovevo dedicarmi ai racconti o alle poesie. Cose brevi: avrei potuto sedermi e, con un po’ di fortuna, scrivere rapidamente e farcela.”
(R. Carver, Voi non sapete che cos’è l’ amore, p. 52)
Al contrario di Anderson, non fa dichiarazioni di poetica: per lui il racconto breve è l’unico modo possibile per portare a termine una narrazione. Eppure, mi sembra che Carver sia l’autore a cui meglio si addice l’idea che il racconto breve sia una forma narrativa costitutivamente americana. O, sarebbe meglio dire, della provincia americana, quei vasti territori interrotti solo da piccoli abitati su cui autori come Anderson ed Hemingway hanno rivolto lo sguardo. Infatti, se è vero che la scelta della narrativa breve è stata imposta a Raymond Carver dalla vita instabile che conduceva, c’è anche un motivo più profondo per cui l’autore la privilegia:
“Per scrivere un romanzo, mi sembrava,  uno scrittore dovrebbe vivere in un mondo dotato di senso, un mondo in cui poter credere, da poter mettere a fuoco per bene e su cui poi scrivere accuratamente. Un mondo che, almeno per un certo tempo, rimanga fisso in un posto. Inoltre, dovrebbe esserci una specie di fiducia nella correttezza di quel mondo. Fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia una ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne, che non vada tutto in fumo mentre lo fai. Non era questo il tipo di mondo che conoscevo io e nel quale vivevo.”
 (R. Carver, Voi non sapete che cos’è l’ amore, p. 54)
Il mondo che Carver conosce meglio, quello di cui scrive, è la vasta e umida provincia del Pacific Northwest americano. Qui, i suoi personaggi vivono quasi sempre in un dopo: si sono già lasciati alle spalle la fiducia nel mondo, i sogni di successo, l’idea che la tenacia e il lavoro avrebbero permesso loro di realizzare qualcosa di buono. La felicità esiste solo come ricordo, o come breve rivelazione, incapace di durare più di pochi attimi. Non ci vengono mai raccontate le avventure dei protagonisti, ma il momento in cui, dopo aver raggiunto la consapevolezza del fallimento, ci si chiede come continuare a vivere.
Il mondo che Carver conosce meglio è la vasta e umida provincia del Pacific Northwest americano
Nel racconto Dì alle donne che usciamo (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore), uno dei protagonisti arriva addirittura a compiere un gesto di violenza estrema, uccidendo due ragazze. L’omicidio, lo scoppio di un istinto di aggressività irrefrenabile, è la reazione estrema a un mondo che, carico di promesse, ha poi tradito il giovane Jerry:
“Quando Bill e Linda si sposarono, Jerry gli fece da testimone. Naturalmente il pranzo di nozze lo fecero al Donnelly Hotel, con Jerry e Bill che facevano gli spiritosi insieme, si mettevano a braccetto e buttavano giù un bicchiere dopo l’altro di punch corretto. Ma in mezzo a tanta baldoria, a un certo punto Bill guardò Jerry e pensò che sembrava più vecchio, molto più vecchio dei suoi ventidue anni. A quel punto Jerry era padre felice di due bambine, era stato promosso a vicedirettore dei grandi magazzini Robby’s e Carol ne aveva già un altro in arrivo.”
(Dì alle donne che usciamo, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, p. 48)
Eppure, quella di Jerry è una delle poche azioni estreme che si trovano nei racconti di Raymond Carver.
Perlopiù i suoi personaggi si tormentano chiedendosi che fine abbia fatto la felicità conosciuta in passato, anche se per breve tempo:
“– E quando eravamo solo dei ragazzi, prima di sposarci? – fa Holly. – Quando avevamo grandi progetti e grandi speranze? Te lo ricordi? – Era seduta sul letto, stringendosi le ginocchia e il bicchiere.
– Sì che me lo ricordo, Holly.
– Non sei stato il mio primo ragazzo, sai, il mio primo ragazzo si chiamava Wyatt. Immagina un po’, Wyatt. E tu ti chiami Duane. Wyatt e Duane. Chi lo sa che mi sono persa in tutti quegli anni. Però ero felice. Sì, sul serio. Tu eri tutto per me, come nella canzone.”
 (Gazebo, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, p. 22)
Non a caso, la fine dell’amore è un tema su cui l’autore torna continuamente: come ci si può ritrovare infelici, dopo aver sposato la persona che si ama? Eppure, la durata limitata della felicità sembra una condanna a cui non si può sfuggire, quasi una legge di natura inspiegabile. Eccoci proiettati in pieno nel mondo di Carver: non è  un «mondo dotato di senso, un mondo in cui poter credere, da poter mettere a fuoco per bene». Non è un mondo su cui poter scrivere un romanzo.
La fine dell’amore è un tema su cui Raymond Carver torna continuamente
Molti dei suoi personaggi, soli e disorientati, trascorrono le giornate in uno stato di intorpidimento generato dall’alcol, che si trova al centro di diversi racconti; ne è un esempio Da dove sto chiamando (Cattedrale), ambientato in un centro di recupero per alcolisti. Il protagonista ha alle spalle un matrimonio fallito e sta cercando di portare avanti una nuova, complicata relazione. Il primo giorno dell’anno, decide di fare una telefonata:
“Tiro fuori delle monete dalla tasca. Proverò prima con mia moglie. Se risponde, le farò gli auguri per l’anno nuovo. Ma tutto lì. Non solleverò discussioni sui nostri affari. Non alzerò la voce. Neanche se cerca di provocarmi. Mi chiederà da dove sto chiamando e dovrò dirglielo. […] Dopo che avrò parlato con lei, chiamerò la mia ragazza. O magari chiamo prima lei. Dovrò solo sperare che non prenda la linea suo figlio. – Ciao, tesoro, – le dirò appena risponde. – Sono io.”
(Da dove sto chiamando, Cattedrale, p. 144)
Quel «sono io» è una risposta, seppur fragile, a una domanda a cui non ci può sottrarre: dopo aver visto infrangersi i propri sogni giovanili, che cosa resta da fare? È in questo spazio, seppur stretto, che si gioca la nostra possibilità di scelta. Ed è qui che il mondo di Carver, la provincia del nordovest americano, pur continuando ad essere una realtà ben definita, assume anche un valore archetipico: la domanda che si pongono i suoi personaggi non ha confini geografici.
E’ nella provincia del nordovest americano che il mondo di Raymond Carver assume anche un valore archetipico
Il protagonista di Da dove sto chiamando decide di lasciar andare il passato, di aggrapparsi a una relazione fragile e difettosa, ma pur sempre reale. L’unico modo per farlo è tentare una telefonata, cioè avere fiducia nella comunicazione. La stessa fiducia che Carver ripone nella parola letteraria, a cui dà forma con uno stile asciutto ed essenziale, basato su una convinzione più etica che estetica:
“In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire nel modo migliore quel che devono dire.”
 (R. Carver, Voi non sapete che cos’è l’ amore, p. 38)
Le parole devono dire «quel che devono dire»: una tautologia che esprime fino in fondo l’urgenza della ricerca di Carver, la sua necessità di andare al cuore della realtà in cui si trova immerso. Una volta che sogni e aspettative sono andate in pezzi – sembra dirci l’autore – credere nelle possibilità della parola è quanto di più umano si possa fare :
“– Continui pure, – disse la signora Webster. – Capisco quello che vuole dire. Continui pure a parlare, signor Carlyle. A volte fa bene parlarne. A volte bisogna proprio tirare fuori tutto. E poi, ho voglia di starla a sentire. Vedrà che dopo si sentirà meglio. Una volta anche a me è capitata una cosa del genere, una cosa come quella che sta descrivendo lei. L’amore. Ecco di cosa si tratta.”
 (Febbre, Cattedrale, p. 183)
Avere fiducia nella comunicazione, la stessa fiducia che Raymond Carver ripone nella parola letteraria
Nel soggiorno di una casa di provincia, un uomo racconta alla governante che sua moglie ha abbandonato lui e i figli, distruggendo la famiglia e il loro matrimonio. Nessun gesto grandioso, nessuna avventura: solo la consapevolezza che, quando ci si rende conto di aver fallito, l’unico modo per salvarsi è stabilire un legame sincero con qualcuno. Ecco a cosa servono le parole: non vaghe e astratte, ma quotidiane e precise, che aderiscano il più possibile alla realtà. Proprio come le parole dei racconti di Raymond Carver.

lunedì 14 agosto 2017

Ricordandolo

Lo so, compie gli anni il 16 e non oggi, ma quel giorno probabilmente non riuscirò a scrivere. Quindi, beccatevi oggi il post sullo scrittore più intimista e timido d'America, a detta del sottoscritto. 
Trattava la politica, la vita, il sesso e la violenza con spavalderia ma solo per non mostrarsi completamente. Molto più colto di quello che voleva far credere, cosa che in pochi hanno capito, e fiero dei propri limiti, di uomo e di essere che ha sofferto molto.
Era il 16 agosto del 1920, Auguri Hank!!!


Questa è Verità. La mia poesia preferita.

La poesia prudente
e gli uomini prudenti
durano solo
lo stretto necessario
per morire tranquilli.


venerdì 11 agosto 2017

Una storia americana...

di poligamia (poliginia)!
Vi propongo in parte un articolo che ho trovato nel web a fine luglio e che completo lo trovate qui: ilpost.it/poligamia. Sto anche provando a lavorare, partendo proprio da questa notizia, su di un racconto che andrà nella mia raccolta americana in uscita la prossima primavera. 
L'articolo parla di una curiosa comunità mormone e di una "piccola" differenza rispetto alle altre comunità mormone...

Negli Stati Uniti, in una zona al confine tra lo Utah e l’Arizona, vive una comunità di persone dove la poligamia è una pratica comune e dove, per questa ragione, è comune anche una rara malattia genetica, l’aciduria fumarica, anche detta deficit di fumarasi. La zona in questione si chiama Short Creek e comprende due cittadine: Colorado City, in Arizona, e Hildale, nello Utah. Ci abitano i membri di una setta religiosa, la Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, che fece parte della chiesa mormone più o meno fino al 1935: la divisione avvenne perché la comunità di Short Creek non volle rinunciare alla poligamia, o, per la precisione, alla poliginia, cioè alla pratica che prevede che gli uomini abbiano più di una moglie (la poligamia invece può prevedere anche più mariti per una sola donna). Anche se negli Stati Uniti solo il primo matrimonio avvenuto in queste famiglie è considerato valido, la comunità di Short Creek (che oggi conta circa 7.700 persone) continua tuttora a praticare la poligamia: in quasi tutte le famiglie ci sono almeno tre mogli, perché secondo la setta è il numero indispensabile per andare in paradiso.
Ma questa pratica ha avuto come conseguenza la diffusione di una malattia genetica che nel resto del mondo è rarissima. L’aciduria fumarica è una malattia rara incurabile, che causa disabilità fisiche e mentali e si può diagnosticare anche nei bambini molto piccoli. Colpisce il metabolismo e lo rende molto meno efficiente rispetto alle persone sane: l’enzima fumarasi, che in chi ha l’aciduria fumarica è scarso, ha la funzione di portare energia alle cellule del corpo e quindi è fondamentale tra le altre cose per la salute del cervello, che consuma il 20 per cento dell’energia fornita al corpo con l’alimentazione. Le persone che sono affette da questa malattia nella maggior parte dei casi non riescono a stare sedute e ovviamente a camminare, né a parlare. Hanno inoltre alcune caratteristiche fisiche particolari, come una fronte prominente, orecchie basse e arrotondate, occhi molto distanziati e mento piccolo.
Fino al 1990 gli scienziati avevano avuto modo di studiare solo tredici casi di persone affette da deficit di fumarasi: nella popolazione mondiale si stima che una persona su 400 milioni ce l’abbia. Nel 1990 il pediatra Theodore Tarby diagnosticò la malattia a un bambino della comunità di Short Creek e in poco tempo scoprì che altri otto bambini della comunità, con età compresa tra i venti mesi e i dodici anni, ce l’avevano. Tra i mormoni fondamentalisti di Colorado City e Hildale la probabilità di nascere con l’aciduria fumarica è più di un milione di volte maggiore rispetto alla media mondiale.
La ragione per cui la poligamia ha un ruolo in tutto questo c’entra con la genetica. L’aciduria fumarica è causata dalla presenza di un gene recessivo, che ha un effetto sulla persona che ce l’ha nel DNA solo se è presente due volte, cioè se gli è stato trasmesso da entrambi i genitori. In caso contrario, la persona è un portatore sano, che a sua volta può trasmetterlo ai suoi figli con una probabilità del 50 per cento. Dopo generazioni di poligamia e isolamento rispetto al resto del mondo in una piccola comunità, le probabilità di essere affetti da questa malattia sono cresciute molto per una banale questione aritmetica... Lo spiega bene un articolo pubblicato sulla sezione Future del sito di BBC, partendo dall’esempio di Brigham Young, un importante membro della chiesa mormone vissuto nell’Ottocento che tra le altre cose fondò Salt Lake City: grazie alla poligamia ebbe più di quaranta figli e da questi 204 nipoti e 745 bisnipoti... L’effetto è amplificato anche dal fatto che la comunità di Short Creek ripudia una certa percentuale di ragazzi maschi per mantenere il rapporto numerico tra uomini e donne (che deve consentire che ci siano più donne disponibili per ciascun uomo). Sono chiamati lost boys: solitamente vengono abbandonati dalle proprie madri, lungo le autostrade, di notte, usando come scusa un comportamento scorretto.
L’aciduria fumarica ha più probabilità di comparire nei membri della comunità di Short Creek perché la poligamia ha ridotto notevolmente la diversità genetica della popolazione, rendendo molto più probabile la trasmissione del gene responsabile della malattia e quindi i casi in cui una persona lo riceve sia dalla madre che dal padre... Problemi simili a questo sono presenti anche in altre comunità in cui la poligamia è una pratica diffusa, ad esempio in alcuni paesi dell’Africa occidentale...
L’articolo di BBC sottolinea come tutta questa storia abbia anche un lato positivo, che però non riguarda né i mormoni fondamentalisti, né le altre comunità poligame isolate. Visto che per gli scienziati è impossibile scoprire gli effetti dei geni recessivi nelle persone in cui questi non hanno effetto, studiare queste comunità è l’unico modo per individuare i geni che causano delle malattie. Nello Utah, grazie allo stile di vita dei mormoni, sono stati scoperti più geni recessivi che causano malattie che in ogni altro posto del mondo.

martedì 8 agosto 2017

Dimentichiamo troppo in fretta

Come vi avevo promesso ieri, eccomi anche oggi a parlare di... Bruno Lauzi. Nato esattamente 80 fa, l'8 agosto del 1937. E' stato un grande anticonformista della cultura italiana. Sì, perché lui non ha fatto "solo" musica. E' stato un vero uomo di cultura. Ma non sono bravo, ne tanto meno voglio mettermi a parlare per mezz'ora di Lauzi. Semplicemente, vorrei farvi presente che è uno dei tanti uomini di cultura che in Italia vengono messi un po' in secondo piano. Il Paese è così. Pace all'anima sua, di Bruno.
Questa canzone vale mille canzoni di protesta dei fighetti di sinistra.







lunedì 7 agosto 2017

Qualche news... su di me!

Eccomi con un post assolutamente incentrato su di me. Da buon egocentrico (come tutti gli artisti 😂).

Prossimi eventi
  • venerdì 22 settembre sarò ospite alla libreria Ubik a Mestre.
  • sabato 30 settembre vi farò fare una passeggiata con reading sulle colline bolognesi e con me ci saranno Charlie e Anita...
Da oggi lancio una promo, valida fino al 17 settembre, per l'acquisto dei miei libri. 
Per farlo, potete scrivermi all'indirizzo mail: maurofornaro76@gmail.com 
o contattandomi nei social, così come per l'organizzazione di eventi, interviste, ecc.





Più eventuali spese di spedizione. 


Altre novità? Certo! Verso la metà di settembre sarò in giro per Bologna a fare da intervistatore ad un caro amico. Ma di più non vi dico, per ora...  Così come sulla mia nuova raccolta di poesie che uscirà tra settembre ed ottobre. Quasi pronta anche la copertina e prontissimo il titolo, un po' particolare , come sempre.
Per oggi può bastare 😅😜... probabilmente scriverò anche domani sul blog e parlerò di un grandissimo della musica italiana.

Le foto sono di Benedetto Restivo

giovedì 3 agosto 2017

Fuori Rotta Experience con Charlie e Anita

Come vi ho già accennato nei giorni scorsi, sabato 5 agosto sarò ospite della manifestazione Fuori Rotta Experience che si terrà nella suggestiva cornice del Casone Azzurro a Vallonga di Arzergrande, in provincia di Padova, dal 4 al 6 agosto, organizzata dall'associazione La Corte dei Miracoli. L'appuntamento con me, con Charlie, Anita - chi mai saranno?!😁 - e con il mio ultimo libro, il romanzo L'uomo che piangeva in silenzio, è per le 19.00, quando sarò intervistato da Valeria Vanotti.

Ph. William Nordio

Durante la serata sarà possibile acquistare anche gli altri miei libri che, come l'ultimo, si possono acquistare in tutte le librerie - online e non - o direttamente dal sito del mio editore: www.edizionidelfaro.it.



Non penso che le cose non possano cambiare, ma se vogliamo cambiare il mondo, almeno un po', dobbiamo scavare nelle coscienze. La superficialità non è bellezza.

martedì 1 agosto 2017

Un compleanno baleniero...

Il 1° agosto del 1819 nasceva Herman Melville, che noi conosciamo come scrittore ma è stato anche poeta e critico letteraio. Il suo libro più famoso è Moby Dick. Sicuramente uno dei libri più importanti della letteratura americana. A parte l'antitesi bene/male, il libro affronta l'eterna lotta tra l'uomo e la natura, così importante nella storia, e nella letteratura, d'oltre oceano. Con lunghissime riflessioni e descrizioni, che sfociano nell'ossessione del Capitano Achab per la balena, che poi balena non è.  E' un romanzo difficilissimo da leggere! Ma farcela vuol dire...