Ritorno dopo un po' di tempo a parlare di sport. Ne approfitto, in attesa dell'uscita del mio prossimo libro. L'articolo che commento lo trovate completo qui: emiliaromagnamamma/troppiragazziabbandonano.
L'articolo parla dell'annoso problema dell'abbandono dello sport da parte dei ragazzi, argomento di cui ho già parlato varie volte in questo blog.
Concordo con l'articolo: Non è vero che il secchione è
una schiappa nell’attività fisica, non è vero che l’atleta è un somaro a
scuola”. Il punto, semmai, è che allenatori e insegnanti dialogano poco. E che
il triangolo docenti, società sportive e famiglie non viene quasi mai attivato
in favore della crescita dei bambini e dei ragazzi. Esatto, come tutta la cultura in generale, ebbene sì, lo sport è cultura, va in secondo piano rispetto alla vita di tutti i giorni. Come se si potesse vivere senza cultura...
I dati ci dicono che: negli ultimi dieci anni circa un ragazzo tra i 12 e 14 anni su dieci abbandona lo sport prematuramente, cioè prima di raggiungere il proprio potenziale. La media europea è dell’8%. Ma da noi il fenomeno è aggravato ancora di più dal fatto che la partecipazione giovanile alle attività sportive è più bassa rispetto ai Paesi vicini. Mentre nel resto d’Europa fanno sport nove ragazzi su dieci, da noi fanno sport sei ragazzi su dieci. Quando lasciano, non lo fanno per scegliere altre discipline ma per condurre una vita sedentaria. Già, ma come già detto più volte, lo sport in Italia è visto come "un qualcosa da fare quando si sono fatte le cose importanti". E questo concetto diventa ancora più pesante con le femmine.
Ritengo che la responsabilità sia un po' di tutti, lo si legge anche nell'articolo, le famiglie danno poca importanza o troppa allo sport. Molti genitori vorrebbero avere dei figli campioni, normale. Senza conoscere le dinamiche che fanno di un atleta un campione. A parte il talento, pensate all'abnegazione, ai sacrifici, allo stress che ti fanno diventare un professionista. Ma spesso i genitori vorrebbero un figlio campione nelle stesso tempo in cui si scarica un app sul telefonino. Eviterò di parlare dei ragazzi e della scuola, solo per evitare di essere prolisso. Mi concentro sui colleghi. Spesso impreparati e senza una vera mission. Molti fanno gli allenatori/educatori/insegnanti/ (scegliete voi il termine) nel tempo libero, ma sovente pensano che dedicare del proprio tempo sia già sufficiente. Una cosa è essere un professionista, un'altra è essere professionale. Onestamente, la situazione ritengo sia disperata, almeno nel basket. Poche società, io sono fortunato perché lavoro in una di queste, pensano ad una programmazione seria. Dove, vicino a tante persone che lo fanno "per passione", ci sono dei tecnici professionisti. E le società? o vivono per fare volontariato sportivo, o pensano solo ai risultati. Pochi pensano all'aggregazione sportiva abbinata alla formazione sportiva. E qui il discorso potrebbe non finire più...
I dati ci dicono che: negli ultimi dieci anni circa un ragazzo tra i 12 e 14 anni su dieci abbandona lo sport prematuramente, cioè prima di raggiungere il proprio potenziale. La media europea è dell’8%. Ma da noi il fenomeno è aggravato ancora di più dal fatto che la partecipazione giovanile alle attività sportive è più bassa rispetto ai Paesi vicini. Mentre nel resto d’Europa fanno sport nove ragazzi su dieci, da noi fanno sport sei ragazzi su dieci. Quando lasciano, non lo fanno per scegliere altre discipline ma per condurre una vita sedentaria. Già, ma come già detto più volte, lo sport in Italia è visto come "un qualcosa da fare quando si sono fatte le cose importanti". E questo concetto diventa ancora più pesante con le femmine.
Ritengo che la responsabilità sia un po' di tutti, lo si legge anche nell'articolo, le famiglie danno poca importanza o troppa allo sport. Molti genitori vorrebbero avere dei figli campioni, normale. Senza conoscere le dinamiche che fanno di un atleta un campione. A parte il talento, pensate all'abnegazione, ai sacrifici, allo stress che ti fanno diventare un professionista. Ma spesso i genitori vorrebbero un figlio campione nelle stesso tempo in cui si scarica un app sul telefonino. Eviterò di parlare dei ragazzi e della scuola, solo per evitare di essere prolisso. Mi concentro sui colleghi. Spesso impreparati e senza una vera mission. Molti fanno gli allenatori/educatori/insegnanti/ (scegliete voi il termine) nel tempo libero, ma sovente pensano che dedicare del proprio tempo sia già sufficiente. Una cosa è essere un professionista, un'altra è essere professionale. Onestamente, la situazione ritengo sia disperata, almeno nel basket. Poche società, io sono fortunato perché lavoro in una di queste, pensano ad una programmazione seria. Dove, vicino a tante persone che lo fanno "per passione", ci sono dei tecnici professionisti. E le società? o vivono per fare volontariato sportivo, o pensano solo ai risultati. Pochi pensano all'aggregazione sportiva abbinata alla formazione sportiva. E qui il discorso potrebbe non finire più...
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