Vi riporto in america per parlare di centri commerciali e crisi economica. L'articolo completo lo trovate qui: ilgiornale.it/usafallimentiechiusure, io vi propongo qualche passo.
In America si chiama «Retail Apocalypse» ed è il fenomeno
che sta annientando il commercio al dettaglio, ridisegnando il mercato del
consumo e le economie a esso legate.
L'apocalisse del commercio al dettaglio Usa travolge non
solo i grandi marchi ma anche le catene distributive, i luoghi fisici e i
centri commerciali.
Un mese fa Toys «R» Us, il colosso Usa di giocattoli (64mila
dipendenti e 1600 punti vendita) ha dichiarato bancarotta, la più grande nella
storia del retail Usa dopo quella di Kmart nel 2002. Solo nel 2017 sono oltre
venti le grandi catene commerciali Usa che hanno presentato istanza di
fallimento; tra queste Gymboree Corp, con i suoi 1200 negozi di abbigliamento
per bambini in Usa, Canada e Portorico.
La crisi non guarda in faccia neppure i simboli del
consumismo americano: per esempio Macy's, una delle più antiche catene di
distribuzione Usa, fondata nel 1858; fu in uno dei suoi magazzini che venne
ambientato il film «Miracolo nella 34esima strada» dove il vero Babbo Natale
veniva assunto come finto Babbo Natale. Per il 2017 Macy's ha deciso la
chiusura di 68 punti vendita (che dovrebbero arrivare a 100 il prossimo anno),
il 15 per cento del totale, mettendo in crisi 10mila posti di lavoro (3900 sono
già stati scarificati nel 2016). Sears Holding (il gigante distributivo
americano) ha annunciato la chiusura, dopo Natale, di altri 63 negozi (45 Kmart
e 15 Sears), la cessione di asset importanti e accordi con Amazon; nel 2017 la
sua quotazione in borsa ha perso oltre il 40 per cento.
... Un'analisi di
Cushman&Wakefield, una delle più grandi società immobiliari del mondo,
prevede la chiusura di 13mila spazi commerciali nel 2018 (da sommare ai quasi
10mila di quest'anno) e la scomparsa di 300 centri commerciali. Le immagini di
queste cattedrali del consumismo abbandonate e decadute, sono parte delle nuove
configurazioni urbane. Secondo uno studio Bloomberg/CoStar, nei prossimi anni
sarà necessario chiudere oltre il 10 per cento degli spazi retail Usa,
convertirli per altri usi o rinegoziarli per affitti più bassi.
Eppure l'economia americana non va male, la disoccupazione è
bassa, la fiducia dei consumatori è tornata a salire ai livelli precedenti la
grande crisi del 2009; ci sarebbero tutte le condizioni per un boom del retail.
E allora perché i grandi marchi falliscono e i centri commerciali chiudono?
Certo la crescita dell'e-commerce ha drenato risorse e consumatori dagli spazi
fisici alle piattaforme on-line come Amazon (ma anche AliBaba, Zalando e
altre); tuttavia l'e-commerce rappresenta solo il 9 per cento dell'intero
mercato Usa, quindi non giustifica questa «Apocalisse».
Certo, gli stili di vita sono cambiati e la nuove
generazioni (che comunque hanno un potere di acquisto minore di quelle
precedenti) privilegiano il consumo delle esperienze a quello delle cose. Ma la
verità sembra essere un'altra: ciò che sta facendo crollare il commercio al
dettaglio Usa è il fatto che, negli anni passati, per affrontare la crisi
recessiva, i grandi marchi e molte catene distributive si sono «sovraccaricate
di debiti» a causa di spericolate operazioni finanziarie di leveraged buyout,
affidate a società di Private Equity che oggi sono i veri controllori del mercato.
Secondo uno studio Bloomberg, «questa bolla debitoria scoppierà nei prossimi
anni con effetti spaventosi sull'economia americana». Come conferma il
giornalista economico David Dayen: «Otto milioni di lavoratori americani
potrebbero vedere il loro impiego evaporare, non a causa della sostituzione
tecnologica, ma di uno schema finanziario predatore»...
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