Riporto integralmente un articolo che ho letto oggi su Corriere.it (www.corriere.it) di Alessandra Farkas (@afarkasny). Tratta della fuga (sì, con la U) dell'industria del porno dalla California. Il problema? E' un problema del cazzo. Il recente referendum del 6 novembre obbliga gli attori porno a mettere il preservativo. Capirete che il gusto di vedere un film porno dove un attore indossa il preservativo è lo stesso che avrebbe un prete se dovesse effettivamente rinunciare alla castità, o lo stesso gusto che avrebbe un parlamentare a lavorare per ciò che viene pagato. Morale: che gusto c'è?
A parte queste battute, l'articolo fa riflettere molto. Secondo me la California rischia di perdere tanti soldi che il mercato del porno garantisce. Da non dimenticare il fatto che i primi a difendere la produzione tradizionale sono stati i bacchettoni repubblicani, proprio quei bei conservatori di destra che alla domenica vanno a pregare e si fanno fotografare con la famiglia sorridente, difendono una produzione cinematografica così oltraggiosa come quella del porno. Come se Casini fosse applaudito da Comunione e Liberazione ma fosse anche divorziato...
Fuga da Hollywood. Il referendum approvato lo scorso 6 novembre in California che obbliga gli attori dell’industria porno a mettere il preservativo
sta causando l’esodo di massa da Los Angeles dei produttori di film a
luci rosse. “Il pubblico che ama i film porno non vuole guardare un
attore che usa il preservativo e perciò qui non c’è più mercato”, ha
spiegato Larry Flynt, il leggendario editore dell’impero di riviste e
video Hustler che ha deciso di spostare la produzione dei suoi film da
Beverly Hills in Messico, Arizona e Hawaii. Oltre che a Budapest,
capitale europea dell’industria a luci rosse.
Altre 300 società di produzioni hard
potrebbero seguire l’esempio di Flynt. “Girare a Los Angeles diventerà
troppo complicato e costoso”, ha detto al Los Angeles Times il
regista-produttore Glenn King, proprietario della MeanBitch Productions:
“Siamo una piccola impresa. Se non riusciremo a sopravvivere per colpa
di questa nuova legge, cercheremo altre opzioni”.
Quella che sulla scheda del voto figurava come ‘Measure B’ era stata
promossa dall’Aids Healthcare Foundation – la più grande organizzazione
mondiale per la cura dell’Aids – con l’appoggio di note femministe come
Gail Dines, (docente di sociologia al Wheelock College di Boston e
autrice di Pornland: How Porn has Hijacked our Sexuality) e di superstar del genere erotico quali Aurora Snow secondo cui “chi dice no al sesso non protetto rischia di essere licenziato”.
Ma la ‘Measure B’ aveva creato anche un’altra singolare alleanza tra
gli impresari del porno e il partito repubblicano dello stato, uniti
nella crociata pro-businss per fermare un’iniziativa
destinata a dare il colpo di grazia ad un’industria da un miliardo di
dollari di giro di affari e 10 mila posti di lavoro circa, già
danneggiata dalla crisi delle vendite dei Dvd e il porno libero su
Internet.
“Gli attori porno californiani sono impiegati di un’industria legale
che dovrebbero godere degli stessi standard di sicurezza sul lavoro dei
loro colleghi di altri settori”, conclude lo studio che verrà pubblicato
sul prossimo numero di Sexually Transmitted Diseases che esamina l’incidenza record di malattie veneree tra gli attori porno, il 67% dei quali donne.
Siete d’accordo con questa tesi? E’ stato giusto regolare quest’industria?
E come si spiega che la campagna sponsorizzata dalla ricchissima
lobby pornografi-conservatori non sia riuscita a sconfiggere
un’organizzazione non profit come l’Aids Healthcare Foundation?
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