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Viaggio a Echo Spring racconta storie di scrittori con problemi di alcol, e raccoglie quello che sull’alcol avevano da dire... Il titolo viene dall’opera teatrale di Williams, dove il personaggio di Brick, l’ubriacone, chiamava Echo Spring l’armadietto dei liquori in cui conservava il bourbon di quella marca...A fare da sfondo a citazioni di romanzi e articoli di riviste letterarie, spiegazioni da saggi scientifici e fotografie, c’è il viaggio fatto da Laing negli Stati Uniti sulle tracce degli scrittori di cui parla: l’amicizia tra Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway, le lezioni barcollanti nell’università dell’Iowa di Raymond Carver e John Cheever – che leggendo dei tormenti alcolici di Fitzgerald scrisse «Io sono, lui era» – e i ripetuti tentativi di uscirne del poeta John Berryman.
Eccovi il racconto di come Cheever e Carver si conobbero - nel '73 - nell’Università dell’Iowa, dove erano stati chiamati a insegnare.
Ecco il fatto. Iowa City, 1973. Ci sono due uomini in una macchina, una Ford Falcon decappottabile che ha visto giorni migliori. È inverno, fa un freddo di quelli che ti trafigge le ossa e i polmoni, le nocche si arrossano e ti cola il naso. Se per un atto di fede visivo si potesse allungare la testa dentro il finestrino mentre i due uomini stanno lì a battere i denti, si noterebbe che il più anziano, quello sul lato del passeggero, non indossa i calzini. Porta solo i mocassini, noncurante del freddo, come un giovanotto per bene andato a fare una scampagnata estiva. In effetti lo si potrebbe scambiare per un ragazzo: snello, giacca di tweed di Brooks Brothers e pantaloni di flanella, capelli impeccabili. Solo il suo viso, collassato tra le pieghe di carne come un cane bastonato, lo tradisce.
L’altro uomo è più grosso, più corpulento, trentacinque anni. Basette, denti brutti, un vecchio maglione con un buco sul gomito. Non sono ancora le nove del mattino. Escono dall’autostrada ed entrano nel parcheggio dello spaccio statale di alcolici. Il commesso è lì davanti, le chiavi scintillano nella sua mano. Vedendolo, l’uomo sul sedile del passeggero spalanca la portiera ed esce barcollando, anche se la macchina è ancora in movimento. «Quando entrai nel negozio» scriverà l’altro molto tempo dopo «lui era già alla cassa con un litro e otto di scotch.»
Ripartono, si passano la bottiglia. Nel giro di poche ore torneranno all’Università dell’Iowa, ondeggiando eloquentemente davanti ai rispettivi studenti a lezione. Entrambi hanno, se non fosse ancora ovvio, gravi problemi con l’alcol. Ed entrambi sono scrittori, uno molto noto, l’altro sta per affacciarsi alla fama.
John Cheever, il più anziano, è autore di tre romanzi – Gli Wapshot, Lo scandalo Wapshot e Bullet Park – e di alcuni tra i racconti più distintivi e portentosi mai scritti. Ha sessantun anni. A maggio di quell’anno è stato ricoverato in ospedale per una cardiomiopatia dilatativa, testimonianza del caos invincibile che l’alcol scatena nel cuore. Dopo tre giorni nell’unità di terapia intensiva è sopraggiunto il delirium tremens, che lo ha reso così irrequieto e violento che hanno dovuto legarlo con una camicia di forza di cuoio. Il lavoro all’università – un semestre di insegnamento presso il famoso Writers’ Workshop – doveva essergli sembrato il viatico per una vita migliore, ma le cose non stanno andando come sperava. Per vari motivi, non ha portato la famiglia, e fa vita da scapolo in una stanza dell’Iowa House Hotel, lo studentato.
Raymond Carver, l’uomo più giovane, è arrivato da poco in facoltà. La sua stanza è identica a quella di Cheever, ed è proprio sotto la sua. Hanno lo stesso quadro appeso a una parete. Anche lui è venuto da solo, lasciando moglie e gli adolescenti in California. È tutta la vita che vuole diventare uno scrittore, ma è tutta la vita che sente che le circostanze gli sono avverse. Beve da parecchio tempo, ma nonostante le devastazioni dell’alcol è riuscito a scrivere due volumi di poesia e ad accumulare un bel po’ di racconti, molti dei quali pubblicati su riviste minori.
A prima vista, i due uomini sembrano due poli opposti. Cheever ha tutto l’aspetto e il modo di parlare di un ricco wasp, ma una conoscenza più approfondita rivela che si tratta di un elaborato sotterfugio. Carver, invece, è figlio di un operaio di Clatskanie, Oregon, e per poter scrivere si è mantenuto per anni svolgendo lavori umili come il bidello, il magazziniere e l’uomo delle pulizie.
Si sono incontrati la sera del 30 agosto 1973. Cheever ha bussato alla sua porta, nella stanza 240, protendendo un bicchiere e annunciando, secondo Jon Jackson, uno studente che si trovava lì: «Mi perdoni. Sono John Cheever. Posso rubarle un goccio di scotch?». Carver, euforico per questo incontro con uno dei suoi eroi, gli tende una bottiglia di Smirnoff balbettando. Cheever fa un sorso, ma storce il naso per l’aggiunta di ghiaccio e succo.
Percependo un incrocio di interessi, i due uomini fanno subito amicizia. Passano quasi tutto il tempo al bar Mill, dove viene servita solo birra, a parlare di letteratura e donne. Due volte alla settimana partono con la Falcon di Carver e vanno allo spaccio per comprare lo scotch, che poi bevono nella stanza di Cheever. «Non facevamo nient’altro che bere» raccontò Carver più avanti, sulla Paris Review. «Ci presentavamo in classe, per modo di dire, ma per tutto il tempo che siamo stati lì […] non abbiamo mai tolto la macchina da scrivere dalla custodia.»
Quello che è strano di questo anno di sprechi, per non parlare di tutti i disastri che ne seguirono, è che Cheever, per così dire, lo aveva predetto. Dieci anni prima aveva scritto un racconto apparso sul New Yorker il 18 luglio 1964, The Swimmer (Il nuotatore), che parla dell’alcol e dei suoi effetti sull’uomo, di come può spazzare via una vita intera. L’incipit è classicamente cheeveriano: «Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: “Ho bevuto troppo ieri sera”».
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