martedì 8 maggio 2012

Il Carver italiano

Riprendo un tweet di Assagiletterari di venerdì 4 maggio. La lettera è di Emiliano Sbaraglia. L'autore, commenta un servizio di D'Orrico, pubbblicato dal Corriere. Dove Ligabue viene definito il "Carver italiano"... Avrei qualcosina da dire ma Sbaraglia lo ha detto prima di me e, sicuramente, molto meglio.


Sabato scorso su «La Lettura», inserto culturale del «Corriere della Sera», Antonio D’Orrico ha definito Ligabue “il Raymond Carver italiano” . Emiliano Sbaraglia ha scritto una lettera per dirci la sua.

Cara minima & moralia,
come molti ho conosciuto minimum fax grazie a Raymond Carver. O meglio, ho conosciuto Raymond Carver grazie a minimum fax. Era il 1998, si fantasticava di un’associazione culturale dal titolo “Panta Ray”, per cercare di diffondere la lettura di uno scrittore allora ancora poco conosciuto, ma già molto amato da chiunque lo leggesse. Un po’ quello che era successo (e che ora in Italia succede sempre grazie ai minimum) per uno dei suoi maestri riconosciuti, Richard Yates, che l’Esquire definì “uno dei grandi scrittori meno famosi d’America”, un altro di quelli che, penna alla mano, abbattono ogni convenzionalità e ogni categoria di genere. D’altra parte era lo stesso Carver a non voler sentir parlare di minimalismo e minimalisti, quasi quanto il vecchio Carlo Marx aveva in uggia marxisti e zone limitrofe.
Immaginiamo quindi la reazione che avrebbe potuto suscitare in un tipo come Carver, specie nel tempo della “pacchia” dell’ultimo suo decennio insieme a Tess Gallagher, l’ultima pagella di Antonio D’Orrico per l’inserto domenicale del “Corriere della Sera”, che per sintetizzare inizia così: “Non abbiamo un Raymond Carver italiano. Mi correggo, non avevamo un Raymond Carver italiano. Ora c’è e si chiama Luciano Ligabue”. Poi l’analisi di una delle firme più temute della critica letteraria italiana si avventura nello specifico: “Anche se versi come: «Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei». O come: «C’è la notte che ti tiene tra le sue tette, un po’ mamma un po’ porca com’è». O, soprattutto, come: «Ci han concesso solo una vita / soddisfatti o no, qua non rimborsano mai» a Carver non sarebbero dispiaciuti”.
Per scrivere di Ligabue come del Carver italiano in occasione dell’uscita del suo ultimo libro (dall’accattivante titolo “Il rumore dei baci a vuoto”) ci vuole veramente un bel pelo sullo stomaco, tanto per citare Vasco, paragone forse più calzante seppur indigesto al cantante di Correggio. Non fosse altro perché D’Orrico va ad alimentare, dalle pagine del primo quotidiano nazionale, quella confusione dei ruoli così tanto di moda nel panorama editoriale italiano (e non solo), dove chi parla di cucina in televisione vende più libri di uno scrittore “puro”. Ma al di là di questo, il solo confronto tra la scrittura di Carver e quanto scrive il “Liga” appare privo di qualsiasi supporto critico. Per carità, lo ammetto: non ho ancora letto l’ultima fatica letteraria di Luciano Ligabue; ma confesso non senza qualche vergogna che nel 2004, durante il Salone del Libro di Torino, mi sono procurato di soppiatto “La neve se ne frega”, presentato in pompa magna nel corso di quella edizione. E a meno che in questi anni, tra una canzone e un concerto, il “nostro” non abbia frequentato numerosi ed efficaci corsi di scrittura creativa (dei quali ho sempre diffidato), la differenza con il nostro Carver credo sia rimasta abissale. Anche perché, per l’appunto, si parla di due mestieri diversi.
Diverso ancora è poi il mestiere di critico letterario, che in virtù delle competenze maturate in materia dovrebbe consigliare al lettore qualcosa per cui vada la pena spendere in tempo e denaro, in un periodo in cui tempo e denaro diventano di giorno in giorno risorse sempre più difficili da trovare.
C’è infine uno spazio da riempire, quello appunto della pagella ne “La Lettura” del Corriere. Uno spazio di cui Ligabue, grazie alla vasta popolarità raggiunta dai suoi “versi in musica” (che secondo D’Orrico ricordano Neil Young), non ha certo bisogno per far conoscere i suoi libri.


A difesa del Liga vorrei dire che secondo me è bravo a scrivere, anche poesie, ma accostarlo a Carver mi pare un po' troppo.
Ultima cosa, vorrei ricordare al mio amico Andrea che stavo scrivendo questo post, a sua insaputa, quando anche lui leggeva dell'articolo di D'Orrico. Quindi non si deve lamentare del fatto che io lo sapevo già e che mi sono adirato con lui... dovrebbe conoscermi!

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