sabato 28 gennaio 2017

Il paradosso dei racconti

Vi propongo parte di un articolo interessante che parla di racconti e di come, in Italia, facciano fatica ad emergere. Anche se qualcosa sta effettivamente cambiando. Non perdo molto tempo nel dirvi che, adoro i racconti e che chi li considera forme minori di scrittura non capisca nulla. 
L'articolo completo lo travate qui: linkiesta/ilparadossodeiracconti.
Si legge nell'articolo Ormai lo si è sentito ripetere talmente tante volte da essere diventato un ritornello e da essere entrato per bene nella testa degli italiani: l' Italia non è un paese per racconti. 
Le premesse sono che gli scrittori non li vogliono scrivere e i lettori non li vogliono leggere. 
Adoro i racconti, adoro la letteratura americana e, di conseguenza, adoro i racconti. Quindi, non posso che essere d'accordo quando leggo 
Non è vero, infatti, che gli scrittori non amano scrivere racconti. Quello che si può dire, al più, è che non tutti ne sono capaci. Nel 1956, Jean Stein della rivista Paris Review intervistò il premio Nobel William Faulkner. L'americano, a un certo punto, disse una frase che ha la potenza di un aforisma, di quelli che si ripetono alle cene per fare i brillanti, di quelli che finiscono sulle magliette: «Ogni romanziere, all'inizio, vuole scrivere poesie e, non riuscendoci, prova con i racconti, che sono la forma letteraria più difficile dopo la poesia. Poi, fallendo anche con quelli, l'unica cosa che gli resta da fare è mettersi a scrivere un romanzo».
Non è solo una battuta. Lo dicono in molti, soprattutto tra gli scrittori: “i racconti sono più difficili da scrivere dei romanzi”. E lo sono perché sono più “tecnici”, richiedono una attenzione e un lavoro diverso, più intenso e ingombrante sia sui meccanismi narrativi che sulla lingua, in chi li scrive. Un lavoro tanto intenso ed ingombrante da rendere più faticosa anche l'esperienza di lettura, che difatti richiede in chi legge più duttilità mentale e più abitudine alla lettura di quel che richiede un romanzo. 
E concordo anche con questa parte dell' articolo, emblema dell' Italia: pare che chi legge poco preferisca attaccarsi a un romanzone di 1000 pagine, che sulla lunga distanza risulta più comodo e familiare, piuttosto che mettersi in gioco costantemente, ogni 10 o 15 pagine, affrontando una raccolta di racconti. 
Concordo anche su questa parte dell' articolo, manca la volontà Di scrittori ce ne sono, quindi. E anche di grandi raccolte su cui gli editori potrebbero puntare per rilanciare il formato, la cui duttilità e velocità di lettura suggerisce che siano anche parecchio adatti ai nostri tempi. C'è un unico problema. Ed è sempre lo stesso. La letteratura, quella vera, è faticosa. Come lo sono i racconti. E lo è per tutti. Sia per gli scrittori, che devono avere fantasia e tecnica per saperli scrivere; sia per gli editori, che devono saper lavorare sul serio per poterli comunicare e vendere; sia per noi lettori, che dobbiamo aver voglia di leggere sul serio, voglia di fare fatica e metterci alla prova per decidere di affrontare la lettura di un libro che ricomincia ogni 15 pagine e che, ogni volta, mette sul tavolo un meccanismo narrativo che, in teoria, è lì per spiazzarci.
Bisogna investire nella cultura, ma in Italia si investe solo nell' azienda cultura. Quindi, si pensa a fare soldi, magari facili con la biografia di un calciatore o di una star della tv, non c' è abbastanza tempo - voglia - per valorizzare i racconti e le poesia. Ma la colpa non è solo di chi fa, lo è anche di chi legge. Gli italiani non amano leggere e non amano, in generale, lottare per ciò che è importante.

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