Visto che sono in un periodo di attesa per l'uscita del mio prossimo libro, sono particolarmente sensibile a tutto ciò che parla di lettura. Oggi vi propongo parte di un articolo, completo lo trovate qui:
rivistastudio/comprarelibrichenonsileggono, che disserta su coloro che comprano libri e poi non li leggono. Premetto che odio queste persone.
Nell' articolo si legge... tutti acquistiamo e regaliamo
più libri di quanto non sia umanamente possibile leggere e nessuno ci trova
nulla di male. Al contrario, l’intera industria editoriale si regge, e neppure
troppo bene, su questa incongruenza tra il tempo a disposizione e il numero di
volumi acquistati. Quanti libri è possibile leggere in una vita? E quanti è realistico aspettarsi
di leggerne? Verso la fine dei suoi giorni, guardando affranto la sua
biblioteca colma di volumi non goduti, Winston Churchill stimò di averne letti
cinquemila. Una cifra verosimile, per un lettore straordinariamente vorace
quale era Churchill, che però risulta ottimista anche per molti di coloro che
rientrano nella categoria di lettori forti.
Ma acquistare libri non è sempre stato qualcosa di apprezzato... Non a caso il loro
accumulo è stato a lungo una pratica disprezzata nella cultura occidentale, ... nel Medio Evo gli europei guardavano con sospetto
«l’estesi capricciosa e passionale» con cui gli arabi collezionavano volumi, e
ancora nel Secolo dei Lumi era considerato immorale fare incetta di libri
(acquistando più testi di quanti non ne possa leggere, il collezionista
interrompe la trasmissione del sapere in essi contenuto e priva i suoi
concittadini della possibilità di accedervi, questo il ragionamento). È
soltanto dall’inizio del Novecento, ..., che l’accumulo di vaste
biblioteche private è iniziato ad essere vista, quasi universalmente, come
un’arte nobile a sé stante, indice di raffinatezza e di amore della cultura,
indipendentemente dal numero di libri effettivamente letti.
Ma questa è la riflessione che mi piace di più, legata a quello che sostengo da tempo: con l'avvento di internet l'acquisto di libri è diventato una qualcosa da farsi tanto perché mi costa poca fatica. Come acquistare la cover di un cellulare o un oggetto, che poi non utilizzeremo, per la cucina...Viviamo in
un’epoca in cui, almeno tra le persone più evolute, l’acquisto di oggetti
destinati a restare inutilizzati è disprezzato. Non si smette di dire, tra gli
esperti di moda, che bisognerebbe comperare meno e comperare meglio, che fare incetta di capi
low cost è sbagliatissimo (va bene, costa solo nove euro, ma poi te lo metti?),
danneggia l’ambiente e incasina il nostro guardaroba, insomma è una tentazione
cui resistere (altro mantra: se non indossi un capo da un anno, disfatene e
sappi che acquistarlo è stato un errore). Perché, allora, comperare libri
dovrebbe essere diverso?
Walter Benjamin descriveva l’arte
di collezionare libri proprio come una forma di collezionismo qualsiasi, senza
per questo sminuirla: la bellezza, scriveva, sta tutta nella ricerca, nel
possesso, nel circondarsi di oggetti che «sprigionano una marea di ricordi
quando li si contempla» – ah, quel volume l’ho trovato in una bancarella di
Francoforte, quell’altro durante un viaggio nella Turingia – e che, nel loro
essere collezione, rappresentano una squisita «tensione dialettica tra i poli
del caos e dell’ordine». Bibliofilo in senso stretto, Benjamin però
collezionava volumi rari, o carichi di un significato particolare: un’edizione
originale di Balzac, una raccolta di favole dei fratelli Grimm stampata a
Grimma (la sola assonanza conferiva valore, per lui). Il processo di chi
accumula libri, beh, normali, è diverso. Con il bibliofilo, però, il semplice
accumulatore condivide la condizione di «non lettore», che secondo Benjamin era
una caratteristica di chiunque possegga tanti libri.
Una decina d’anni fa il critico francese Pierre Bayard ha
pubblicato un libro proprio sull’arte del «non-leggere», definita «non la
semplice assenza della lettura, ma un’attività a sé stante» (il saggio è uscito
in Italia nel 2012 col titolo "Come parlare di un libro senza averlo letto". Come coi
nostri cervelli, dove le connessioni tra i neuroni sono più importanti dei
neuroni stessi, anche la cultura somiglia più a un network che a una somma:
«Non è una questione di avere letto un libro in particolare, ma dell’essere
capaci di orientarsi tra i libri come sistema, cosa che implica il riconoscere
che formano un sistema e il sapere individuare ogni elemento in relazione agli
altri». Non c’è bisogno di avere letto tutto i Fratelli Karamazov per
cogliere un riferimento al Grande Inquisitore, né bisogna avere letto l’Ulisse di
Joyce né Omero per avere un’idea, fosse anche fugace, del rapporto tra i due.
Un libro, dunque, è «un elemento di un insieme, che assume il suo significato
come una parola assume il significato in relazione agli altri».
Se la cultura è una rete di libri che si parlano tra loro,
un sistema di cui si può partecipare anche senza averli letti singolarmente,
allora forse la tendenza diffusa ad accumulare libri che non leggeremo mai
riflette il desiderio di appropriarci di una parte di quel sistema.
Concordo su tutto, capisco se fai il collezionista. Ma se non lo sei, cerca di comprare libri che poi leggerai. Altrimenti illudi lo scrittore di essere letto, quando in realtà ha preso solo i soldi dei diritti d'autore. E comunque quando apri la bocca, si capisce che è da anni che non leggi!