Detto questo, le riflessioni di Moreno sull'Agenda Monti.
Incipit.
Una “Agenda” senza
date. Senza scadenze. Senza numeri. Un elenco di idee. Alcune abbastanza
condivisibili. Altre meno. Ma nessuna, a mio avviso foriera di cambiamenti
culturali profondi.
Salve a tutti.
Mi sono messo a
leggere la famosa AGENDA MONTI. Magari tanti non hanno la possibilità di
leggersi tutte le righe scritte da questo personaggio che gran parte
dell’Europa ci invidia. (lo dico solo perché è vero, e non per “tifo” verso di
lui).
Quindi ho pensato
di raccogliere alcuni punti. Quelli che pensavo più interessanti, salienti.
In generale
comunque l’ho trovato un libretto di belle intenzioni, nemmeno così moderne,
alcune. Ancora una volta non sono impressionato. L’uso “veloce” di termini come
“sostenibile” o come “giusto” o “moderno”, senza una accurata riflessine sul
loro effettivo significato, ammantano di importanza un discorso che rischia di
essere vuoto.
Nessun accenno ad
un cambiamento radicale dello strato sociale, relativamente ai beni comuni,
all’equità sociale, alla sensibilità verso cultura, natura e sport (ignorato)
come portatori di valori educativi e strumenti di cambiamento. Solo accenni di
come (solo i primi due per Monti) possano essere strumenti di crescita
lavorativa ed economica. Cosa, per me, che ho speso una vita sull’ambiente e
sullo sport (che non sono recepiti dai più come “bisogni”, ma come strumenti
accessori) un po’ inconcludente, priva di strumenti effettivi perché una
cultura apra la possibilità a sostenibilità in attività da sempre definite
“marginali”.
Ma andiamo brano
per brano (selezione assolutamente personale)
(ndr. L’Italia…) “Deve chiedere all’Europa Politiche orientate nel senso di una maggiore
attenzione alla crescita basata su finanze pubbliche sane, un mercato interno
più integrato e dinamico, una maggiore solidarietà finanziaria attraverso forme
di condivisione del rischio, una maggiore attenzione alla inclusione sociale e
alla sostenibilità ambientale.”
Si parla di crescita. Per me Crescita e
Sostenibilità ambientale sono un ossimoro, dato l’attuale sistema di captazione
delle risorse e di organizzazione del mercato globale del lavoro. (Serge
Latouche, Walt Rostow, Maurizio Pallante). Credo molto in una riorganizzazione
di un settore produttivo improntato al risparmio ambientale e alla distribuzione
verticale e non alla (continua) crescita verticale. Il pianeta già oggi non
regge il nostro ritmo di crescita se non a fronte di guerre (per le risorse),
di 870 milioni di persone che soffrono di grave denutrizione (1 su 8) o di una
costante perdita di Biodiversità del pianeta.
“Occorre
maggiore attenzione alle relazioni con i Paesi in via di sviluppo improntandole
alla difesa della pace e alla solidarietà, allo sradicamento della povertà e
della insicurezza alimentare. Per ovviare a risorse forzatamente limitate, va
rafforzato il coordinamento delle politiche di cooperazione, mettendo a
coerenza l’intero sistema di cooperazione italiano (pubblico, privato,
territori e società civile).”
Bello. Ma prima bisognerebbe cambiare il
concetto di povero, che oggi è riferito al potere di acquisto e di possesso di
un individuo. Io amo definire i paesi del sud del mondo “impoveriti” da un
sistema (una volta localizzato solo sul Nord del mondo) che ha sempre preso a
piene mani, lasciando solo deserto, armi, distruzione e fame. La pace cresce se c’è equità e solidarietà. E
cibo. E possibilità di autodefinirsi e auto realizzarsi. L’idea di “mettere a
coerenza il sistema di cooperazione italiano” è carino, ma mi chiedo “come”.
“Sulla
scorta dell’esperienza maturata con il successo del Piano di azione Coesione
(ndr FESR Unione Europea) e della riprogrammazione dei fondi
strutturali,occorre mettere in campo tutti gli sforzi possibili per
incrementare la capacità delle amministrazioni di promuovere progetti finanziabili
da parte dei Fondi strutturali dell’UE, con un obiettivo preciso: l’utilizzazione
totale dei contributi disponibili.”
E allora perché non parlare qui
della professionalizzazione, o del
riconoscimento, qualitativo e per risultati di quei professionisti che aiutano
le amministrazioni a raggiungere questi risultati, aprendo un importante
settore lavorativo, e non lasciare a chi ci prova o, nel peggiore dei casi ai
furbi, questa possibilità? L’utilizzazione totale dei fondi è auspicabile,
visto che siamo al 37%, oggi.
Ma credo che ci vorrebbe un forte
percorso di sensibilizzazione, informazione e formazione per raggiungere questo
obiettivo.
“È
prioritario accrescere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione,
incentivando in particolare gli investimenti del settore privato, anche
mediante agevolazioni fiscali e rafforzando il dialogo tra imprese e
università. Bisogna rendere le università e i centri di ricerca italiani più
capaci di competere con successo per i fondi di ricerca europei, sulla scorta
del lavoro avviato nei mesi passati.”
Sui fondi europei, la penso come prima.
Sugli investimenti nella ricerca credo che la % sul pil dei nostri investimenti
in questo settore siano troppo bassi.
“Sfruttare tutto
il potenziale dell’economia verde.
La
tutela dell’ambiente è investimento per il futuro presupposto per vivere meglio
il presente. Lavoro e salute non devono più essere alternativi, ma
complementari.
Per
questa ragione l’economia verde non può essere “altro” dall’economia,
ma è parte integrante
dell’economia.
L’industria,
i trasporti, l’agricoltura, gli edifici devono riorientarsi secondo i criteri
dell’efficienza, del contenimento delle emissioni nocive, dell’impiego di
materiali riciclabili e di tecnologie intelligenti per smaltire i rifiuti,
bonificare i terreni, ottimizzare il ciclo dell’acqua, mettere in sicurezza il
territorio, incentivare la mobilità a basso impatto ambientale.
Programmi
formativi e incentivi devono facilitare le scelte “verdi”.”
Leggo un po’ di confusione.
Ambiente è economia. Sia in
termini di risorse che in termini di mantenimento.
Lavoro e salute sono un altro
capitolo. Per sfruttare tutto il potenziale dell’Economia Verde c’è il deciso
bisogno di un cambio culturale, dello sdoganamento di teorie, figure e scelte date
come utopistiche fino a ieri e oggi a volte inseguite come panacee. Bisogna
dare ascolto e voce a gli enti di maggior successo in questo senso, affinché
anche in Italia cresca un luogo di cultura ambientale e ricerca all’avanguardia
a livello mondiale (tipo Wuppertal Institute).
“A
vent’anni di distanza dal precedente Piano energetico nazionale è stata
presentata una nuova strategia energetica nazionale che fa
della crescita sostenibile, dal punto di vista economico e ambientale, il
proprio imperativo e punta a fare del Paese un Hub energetico nel Mediterraneo.
È
necessario continuare sulla strada tracciata, dando attuazione alle linee guida
della strategia per dare all’Italia una energia meno costosa, più sicura e più
sostenibile.”
Sono per la microproduzione e
microdistribuzione, per lo sdoganamento definitivo delle energie da fonti
sostenibile e rigenerabile (compreso un incremento puntualizzato della ricerca
su questi settori anche nel campo delle nanotecnologie). Con un forte
incremento anche di un settore di lavoro e di produzione di beni e serbizi
(energetico sostenibile) Ma anche qui se non si fa un intervento (seppur
controllato, monitorato nei risultati e nella spesa) verso la scienza e la
ricerca, saremo dipendenti da altre nazioni detentori di risorse.
“Adottare
un grande piano di gestione integrata delle
acque si può tutelare il territorio sia dal rischio di dissesto
idrogeologico che di carenza idrica.”
Su questo non ho dubbi. Ma se il piano
presentato dall’ordine dei geologi presentato al governo nel 1963, e non è
stato ancora analizzato e/o preso in considerazione, la vedo complessa…
“Il
patrimonio culturale del nostro Paese non ha eguali al mondo, per vastità nello
spazio (dai monumenti alla gastronomia, dai teatri alle chiese) e nel tempo
(dalle incisioni rupestri alle avanguardie).
È
una ricchezza non delocalizzabile, non riproducibile altrove.
Per
il nostro Paese è dunque una scelta strategica “naturale” puntare sulla
cultura, integrando arte e paesaggio, turismo e ambiente, agricoltura e
artigianato, all’insegna della sostenibilità e della valorizzazione delle
nostre eccellenze.
Intese
con le fondazioni di origine non bancaria o forme calibrate di partnership
pubblico-privato potrebbero consentire un allargamento dello spettro delle
iniziative finanziabili.
Musei,
aree archeologiche, archivi, biblioteche devono essere accessibili ai cittadini
e ai turisti in modo più agevole e la qualità dell’offerta deve migliorare,
anche sperimentando forme di sinergia e collaborazione tra il privato sociale e
le istituzioni statali.”
Tutto meravigliosamente corretto.
Ma… I musei oggi chiudono per carenza di risorse. Chi fa cultura anche a
livello locale, di certo NON può viverci. E di certo NON è aiutato dalle
risorse locali.
La “fabbrica” delle opere d’arte e
di cultura in Italia è sotto finanziata in maniera cronica e culturalmente
relegata ad attività naif di secondo grado. Un paese senza cultura vera, viene
obnubilato dalla cultura spazzatura delle TV e la stupidità el’ignoranza
crescono rigogliose.
Mantenere ciò che abbiamo è anche il
frutto di un amore che oggi ne la scuola ne lo stato non coltivano più. È
necessario recuperare da qui, a mio avviso. Per avere generazioni sensibili e
possibilità di cambiamenti culturali della nostra società
“Costruire
una società più giusta e moderna richiede di aggredire non solo il deficit
fiscale, ma anche il deficit di opportunità che il Paese offre ai suoi giovani
e alle persone meritevoli.
Ogni
anno migliaia di italiani, soprattutto giovani laureati, cercano all’estero una
uscita di sicurezza da un Paese che spesso non sa riconoscere e coltivare il
talento e ricompensare il merito a prescindere dal punto di partenza sociale o
dalle reti di relazioni. L’Italia ha allo stesso tempo uno dei più bassi tassi
di mobilità sociale e uno dei maggiori tassi di concentrazione della ricchezza.
È la fotografia di un paese ingessato. Più mobilita sociale, più spazio al
merito significa una società più dinamica, più innovativa e con meno
diseguaglianze sociali.
Una
società aperta significa che tutte le
posizioni sono contendibili e non acquisite per sempre.
Vuol
dire aprire spazi a chi ha più voglia di fare o a chi ha idee nuove, senza
corsie preferenziali o rendite di posizione, senza privilegi.”
Come battere le caste? Non c’è
sicuramente riuscito in questo primo mandato (magari aveva altri pensieri, ma…
pensare sempre e solo alle emergenze, non migliora lo strato dove le emergenze
maturano. La condizione che ha creato un problema, probabilmente non è quella
giusta in cui lo stesso potrà trovare soluzione (Einstein).
“I
cittadini devono essere meno comprensivi verso la casta politica e i
comportamenti non virtuosi di coloro che hanno responsabilità politiche, a
tutti i livelli.
Il
costo maggiore della politica sono le decisioni sbagliate o le non decisioni
che scaricano il peso sulle nuove generazioni.
La
politica deve essere servizio reso ai cittadini in modo disinteressato, in nome
di un interesse generale. Serve riconciliare la politica con i cittadini per
far si che i cittadini si riconcilino con la politica, mettendo in campo regole
chiare e rigorose per l’attività di partiti e istituzioni, imponendo standard
di totale trasparenza e di integrità.”
“I
recenti inaccettabili episodi di corruzione e malcostume emersi nelle cronache
Impongono
una sterzata: la drastica riduzione dei contributi pubblici anche indiretti ai
partiti e ai gruppi parlamentari e dei rimborsi elettorali, con
l’introduzione di
Una
disciplina di trasparenza dei bilanci con la perfetta tracciabilità dei
finanziamenti privati e una soglia massima per gli stessi contributi.”
I cittadini si sono già espressi sul
finanziamento pubblico ai partiti. E con un referendum lo hanno abrogato. La
casta (estremismi, centro, destra e sinistra) ha risolto la questione usando un
sinonimo (invece che finanziamento, rimborso) prendendo allegramente per il
culo qualche milione di italiani (me compreso). Che strumenti abbiamo se la
stessa giustizia non può nulla contro questi Signori? Per ora eviterei il
Kalasnikov, per una soluzione radicale.
In momento di ristrettezza
economica, niente rimborsi. In regime normale, solo rimborsi a piè di lista,
giustificati, pubblicati sul Web. I partiti devono assumere forma giuridica,
avere bilanci controllati e pagare le tasse come tutti in Italia. Devono. Se
no, si cambia sistema e aria.
In sostanza un
lavoro, non troppo originale, con qualche spunto interessante e nessun (o
scarsi e teorici) collegamento ad una realtà esecutiva e ad una pratica.
Non ci sono
promessone, ma nemmeno soluzioni.
Qualche idea
condivisibile, ma nulla che mi abbia provocato brividi o emozioni.
Siamo ancora
indietro su una alternativa di cambiamento vero e credibile.
E l’idea delle piccole rimestatine, togliendo uno schizzo qua e là.
Errata corrige:
RispondiElimina"Credo molto in una riorganizzazione di un settore produttivo improntato al risparmio ambientale e alla distribuzione verticale e non alla (continua) crescita verticale."
Volevo scrivere distribuzione ORIZZONTALE del lavoro e non verticale. Scusate, un refuso.
Questa è la conferma che nel mio blog vige la libertà di stampa... e di errore! Ah, ah!!!
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